Il Fatto 15.11.12
La politica dello struzzo non paga
Emergenze elettorali - L’efficacia di aver demandato il controllo dei flussi si sta rivelando di breve durata
di Guido Rampoldi
Finisce
com’era prevedibile da mesi: con un disastro umanitario che non può
essere più occultato e comincia a scandalizzare il mondo. L’Alto
commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al-Hussein, ha la buona
grazia di non chiamare in causa l’Italia ma è evidente che si riferisce
soprattutto al nostro Paese quando scrive che “la politica dell’Unione
europea è disumana”. Possiamo considerarlo il bisbiglio inoffensivo di
un dignitario musulmano, futile esercizio d’indignazione di un
carrozzone internazionale, e tornare a occuparci di fiaschi più toccanti
e familiari, dalla Nazionale al Pd renziano.
Ma la sconfitta che
stiamo rimediando in Libia è di quelle che restano scolpite nei libri di
storia e contribuiscono alla nostra immagine internazionale, a definire
il nostro posto nel mondo, oltre che in un’Europa cui purtroppo
somigliamo. E per allontanare l’onta non basterà dire, con il ministro
degli Interni Minniti, ‘se non vi sta bene proponete voi
un’alternativa’. Quell’alternativa saremmo noi a doverla produrre, e in
fretta, se vogliamo recuperare la credibilità sacrificata sull’altare
d’una Realpolitik avventurosa e sbagliata. Per cominciare sarebbe
indispensabile prendere atto del fallimento.
Si dirà che avere in
Libia una politica è stato comunque meglio che non averne alcuna, come
accadeva al tempo del governo Renzi. E si potrà aggiungere che non era
agevole far collimare i nostri interessi strategici con una politica
umana sull’immigrazione. Ma nel suo procedere a tentoni, zigzagando
parecchio, il governo ha inanellato errori e orrori del tutto gratuiti.
Roma aveva il diritto di riprendersi il controllo sui flussi migratori:
ma non c’era alcun bisogno, per cominciare, di lasciar correre, cioè
favorire, l’aggressione contro le Ong del mare, condotta da buona parte
di Parlamento e media, e nutrita da istituzioni (verosimilmente con un
apporto dei nostri servizi, il cui compito non è di manipolare
l’opinione pubblica).
C’era lo spazio per consolidare una
collaborazione tra Stato e Ong: invece le Ong, anche quelle che
subordinavano la propria suscettibilità all’interesse primario di
tutelare l’incolumità dei migranti, sono state prima strattonate da Roma
e poi costrette ad abbandonare le acque antistanti la Libia da un
diktat della guardia costiera libica vidimato dal silenzio-assenso
dell’Italia.
Alla fine dell’estate molti giornali salutavano il successo della politica italiana e un editoriale del Corriere
intimava
a noi scettici di cospargerci il capo di cenere. Il numero dei migranti
arrivati in Italia era diminuito, così il numero degli affogati; quelli
intercettati in mare dalla guardia costiera venivano serenamente
‘riaccompagnati’ in ‘centri d’accoglienza’, in realtà osceni lager, come
certifica l’Alto commissariato Onu.
Ma un cambiamento radicale la
politica italiana l’ha prodotto: ha fatto sparire dalla scena i
migranti, un gioco di prestigio che permetteva di dimenticare in quali
condizioni disperate languissero e di incassare il plauso di un’opinione
pubblica maldisposta verso stranieri poveri. Non è durata: Invisibili a
tanti media e politici nostrani, i prigionieri dei lager sono di nuovo
sotto gli occhi del mondo.
Cosa fare? Se c’è una cosa chiara è che
la salvezza dei 150 mila intrappolati sulle coste libiche non può
essere delegata al circuito milizie-trafficanti né ai loro referenti
politici, nessuno dei quali ha sufficiente forza e autorità per imporsi.
È in corso un negoziato Onu che pare condurre a nulla. Il generale
Haftar, un furfante che l’Italia da ultimo ha cercato di blandire
sorvolando sui suoi documentati crimini, si sta rivelando un bluff. E
dove si combatte, il conflitto minaccia di saldarsi alle turbolenze
egiziane in un’unica area di crisi, un’Egibia alle nostre porte.
Occorre
una decisa iniziativa europea. Non se ne vedono le condizioni, ma
proporla e battersi perché entri nell’universo delle possibilità,
sarebbe un esercizio morale e intellettuale utile a immaginare soluzioni
diverse dalla politica dello struzzo, per ‘popolare’ che possa
risultare quell’impedirsi di vedere e capire.