Il Fatto 13.11.17
Atene, i “prigionieri” di piazza Syntagma
Nella
capitale ellenica tra migranti bloccati dalla chiusura delle frontiere
europee e cuochi baschi che cucinano gratis per i profughi
Sciopero della fame
di Cosimo Caridi
Disegna
perché non sa scrivere. Mohamed ha nove anni e non è mai stato
scolarizzato. Nato a Homs, in Siria, ha imparato a camminare sotto le
bombe. Subito dopo, con il fratello maggiore e i genitori, ha lasciato
il paese. Dove è tua mamma? “In quella tenda. Dorme, è stanca”. E papà?
“In Germania”. Fatima, la madre di Mohamed, sta facendo lo sciopero
della fame. Sono 13 giorni oggi. Vuole raggiungere il marito a
Stoccarda. Non si vedono da oltre due anni. “Eravamo in un campo in
Turchia – racconta la donna, mentre rassetta due coperte, unico arredo
della sua tenda – mio marito è andato avanti. Ha attraversato il mare e
poi i Balcani. Quando è arrivato in Germania ci ha chiesto di
raggiungerlo”. Il resto è cronaca. Nel marzo 2016 la cancelliera
tedesca, Angela Merkel, ha chiuso la rotta balcanica. Almeno 100 mila
persone rimangono intrappolate tra i confini alle porte d’Europa. Di
questi, oltre 62 mila sono tutt’ora in Grecia. Mohamed è uno di loro.
In
piazza Syntagma, ad Atene, sul marmo antistante al parlamento ellenico,
15 famiglie siriane hanno piazzato le loro tende. Ci sono donne e
bambini in quantità, ad accompagnarli uno sparuto gruppo di uomini. Il
primo novembre hanno appeso uno striscione nero a caratteri bianchi:
“Sciopero della fame. Ricongiungete le nostre famiglie ora!”. Su un
cartellone, ogni mattina, annotano da quanti giorni va avanti la
protesta. “I tedeschi ci hanno diviso dai nostri cari – spiega Ibrahim,
trentenne designato portavoce della comunità – abbiamo aspettato e
seguito le procedure, ma non abbiamo ottenuto nient’altro che un pasto e
un materasso”. I richiedenti asilo sono stati sparpagliati in decine di
centri in tutta la Grecia. I campi sono quanto di meglio lo Stato possa
fornirgli.
Ma Atene non ha fondi per pagare le pensioni, quindi
per chi fugge dalla guerra c’è poco, sovente nulla. Il programma
dell’Unione Europa per ricollocare i profughi si è rivelato un buco
nell’acqua. Gli stati membri, secondo quanto deciso da Bruxelles,
avrebbero dovuto accogliere 160 mila profughi che si trovavano già in
Grecia e in Italia. Prima il gruppo di Visegrad, e poi tanti altri, si
sono sfilati e a oggi solo 13.622 sono le procedure registrate, di cui
9.960 sono andate a buon fine, meno del 7 per cento.
Le isole
vicine alla Turchia, trasformate in hotspot per volere
dell’Europarlamento, sono diventate carceri per i profughi. La
convivenza forzata tra locali e migranti risulta ogni giorno più
difficile.
La disoccupazione ellenica rimane sopra il 22 per cento
e quindici cittadini su 100 vivono sotto la soglia della povertà. Alba
Dorata, il partito xenofobo greco, terza forza del parlamento,
capitalizza il malcontento. Si moltiplicano le aggressioni degli
attivisti di estrema destra a richiedenti asilo, e volontari che li
supportano, l’ultima mercoledì scorso nella capitale. Le foto del viso
insanguinato di Evgenia Kouniaki sono state diffuse su Facebook.
Kouniaki è la legale di un pescatore egiziano testimone di un pestaggio,
sempre a opera di Alba Dorata. Mentre andava dalla polizia è stata
avvicinata da una decina di uomini che le hanno rotto naso e occhiali.
In
piazza Vittoria, a pochi passi da dove è avvenuta l’aggressione,
s’incrociano squallore ed eccellenza. Il piccolo parco è diventato negli
anni della crisi il crocevia di spaccio e prostituzione, anche
minorile. Qui i migranti che hanno perso la speranza toccano il punto
più basso dell’Europa. C’è chi traffica l’eroina gialla e chi si vende
per pochi euro. Soldi che, con ogni possibilità, pensa di reinvestire in
un trafficante di uomini che lo aiuti ad attraversare i muri costruiti
lungo la penisola balcanica.
Ed è proprio in piazza Vittoria che
viene distribuito il miglior pasto gratuito per i rifugiati. I paesi
baschi sono la regione del mondo con il maggior numero di ristoranti
stellati. La cultura culinaria affonda nelle origini di Euskal Herria e
ha creato eccellenze come le società gastronomiche. Club privati, a cui
l’iscrizione passa di padre in figlio, dove gli uomini si tramandano le
ricette della tradizione. “Zaporeak è l’associazione creata dai cuochi
delle società gastronomiche – spiega Josi Etxeberria mentre controlla la
cottura di quattro pentoloni – questa situazione è oramai incancrenita,
non la possiamo risolvere noi, ma bisogna limitare il degrado”. Josi e i
suoi hanno trasformato uno scantinato nella cucina di un ristorante.
Una decina di volontari affettano, impiattano e imbustano. “Dobbiamo
dare qualcosa di qualità a chi vive nella precarietà assoluta – continua
Josi – c’è un legame tra cibo e dignità. Mangiare non è solo sfamarsi”.