Il Fatto 13.11.17
La lezione del Papa ai politici: lo stile soft per sedurre in tv
La
visione del nuovo programma di Tv2000 “Padre Nostro” sarebbe utile per
la classe dirigente che potrebbe finalmente apprendere la sua strategia:
le decisioni importanti le prende il nipote cattivo, in tv ci va il
nonno buono
di Marco Marzano
Consiglio caldamente
ai politici italiani la visione del nuovo programma di Tv2000 Padre
Nostro, in particolare dei primi minuti di ogni puntata, dedicati
all’intervista che il conduttore, il prete Marco Pozza, ha di volta in
volta realizzato con papa Francesco. La visione sarebbe utile per i
politici, perché potrebbero finalmente apprendere gli enormi vantaggi
strategici che derivano dallo “stile tenero” che papa Francesco diffonde
da anni e che è stato, da subito, la ragione principale della sua
immensa popolarità. L’intervista è un capolavoro di strategia
comunicativa: innanzitutto, i due dialogano in una stanza spoglia, con
un bel tappeto, ma quasi senza arredi, a suggerire la semplicità e la
frugalità della vita di chi la occupa in quel momento. Don Marco e il
pontefice sono poi molto vicini e posti uno dinanzi all’altro, allo
stesso livello e senza nessun oggetto che li separi. L’unica differenza
sta nella forma della sedia, perché quella di Francesco ha i braccioli,
mentre quella di don Marco ne è priva. Il giovane sacerdote non è
vestito da prete, ma da trentenne “figo”: jeans, giacca bianca con
toppe, scarpetta da ginnastica elegante. E soprattutto dà del tu al
papa. Come se fossero in famiglia, come se quell’uomo anziano vestito di
bianco seduto di fronte a lui fosse un suo familiare, diciamo un nonno
autorevole, con tante cose da raccontare al nipotino che lo guarda
incantato e sedotto dalla sua saggezza.
Nel merito, in quei dieci
minuti inaugurali di ogni puntata di Padre Nostro, Francesco pronuncia
delle frasi di una sconcertante banalità, puro buon senso, un predicozzo
che starebbe bene in bocca a un parroco di campagna: nessuna
rivelazione teologica sconvolgente, nessun pensiero filosofico profondo,
niente che faccia davvero mettere in moto il cervello. Solo parole
semplici, concetti poveri e stringati, perfetti per la comunicazione in
tv. E con l’aggiunta di un elemento che un parroco di campagna non
userebbe mai, ma che nella comunicazione di un divo mediatico quale è il
papa argentino non può e non deve mai mancare: il racconto
autobiografico, la narcisistica narrazione di qualche episodio
edificante della propria vita. Il ritorno a casa con il papà dopo
l’operazione alle tonsille da bambino, l’addormentarsi durante la
preghiera o l’incontro con una fedele in Argentina.
Tutti eventi
insignificanti e ordinari se non fossero parte della vita di una star. E
se non fossero narrati con quel tono dolcissimo, da quella voce così
calda, da un uomo che, a vederlo, è l’incarnazione della mitezza e della
bonomia latina, allegro ed ottimista, ma al tempo stesso determinato e
avveduto. È il nonno che tutti vorremmo avere, da cui vorremmo farci
abbracciare, coccolare, ascoltare. Il nonnino che, forse pensando a se
stesso più che a Dio, ci parla dell’importanza di avere un padre che ti
ama e che ti accoglie sempre, un anziano signore dalle cui parole ci
faremmo trasportare in mondi lontani nel tempo e nello spazio.
Bergoglio
è un genio della comunicazione politica. Perché nella realtà, molto
diversa dalla fiction televisiva, non fa il nonno, ma il capo di Stato e
il monarca assoluto di un’organizzazione con centinaia di migliaia di
funzionari e una pletora di gerarchi, interessi economici e politici
giganteschi, rapporti diplomatici quotidiani con capi di stato e di
governo.
Poco prima di indossare i panni del nonno innocente,
Francesco avrà casomai espresso il suo sostegno ad una delle tante
dittature africane delle quali la sua organizzazione è sostenitrice e
complice o dialogato con gli amici di Putin sul modo migliore con il
quale proteggere i cristiani del Medioriente. Tutte attività ordinarie
per un capo politico e che però, nel caso di Bergoglio, non oscurano la
straordinaria efficacia della sua comunicazione tanto affettuosa e
tenera.
I politici dovrebbero apprendere la lezione perché la sua
popolarità è assai più consistente e stabile di quella di tutti i leader
“muscolari”, di tutti gli imitatori dell’italico e virilissimo
distruttore di reni, dei rottamatori, degli asfaltatori, degli
elogiatori del “vaffa”, insomma di tutti quelli che in politica fanno
ricorso ad una retorica violenta e metaforicamente sanguinaria. L’unico
che, almeno in una fase della sua infinita vicenda politica, sembrava
aver compreso il valore comunicativo della mitezza e della bontà, è
stato il Berlusconi filosofo dell’amore.
Certo, per un uomo
politico è più difficile tener nascosti i contenuti reali del suo lavoro
ed è quindi più complicato, per fare un esempio, precarizzare il lavoro
dei giovani e un minuto dopo andare in tv a recitare la parte del nonno
buono. E la giovin età non aiuta di certo. Una soluzione potrebbe
essere quella di dividersi i ruoli: le cose vere, le decisioni
strategiche le prende il nipote cattivo, ma al riparo da sguardi
indiscreti, mentre in tv ci va il nonno buono, che i voti sa come
raccoglierli. Pensateci.