Il Fatto 12.10.17
Il mondo mantenuto dai poveri
di Furio Colombo
Le
cifre immense di ricchezze immense poste al sicuro nei “paradisi
fiscali” con una vasta collaborazione tecnica, politica, economica, da
coloro che consideriamo leader o classe dirigente, sono la prova che il
mondo è sostenuto dai poveri. Apparentemente i sistemi di tassazione
sono in vari tipi di proporzione al reddito, più pesanti per alcuni e
più lievi per altri. Ma la realtà è rovesciata. Sui medi, i piccoli e i
modesti compensi di lavoro la tassa è un peso sociale, un buco nella
lotta per sopravvivere, che diventa più insopportabile per i lavoratori
più poveri.
Ma un sistema inesorabile di controllo non lascia
scampo all’intero universo del lavoro subordinato. Le Forze armate. Le
scuole, gli ospedali, le autostrade, sono finanziate dalla parte povera
del mondo, ciascuno con i pochi soldi che sarebbero indispensabili per
finire il mese, o con la metà di un salario che consentirebbe una
modesta agiatezza.
Fuori di questi confini, comincia il trucco
della tassazione della ricchezza, sia essa di impresa, o di scambio o di
rendita, che dispone di numerose e fantasiose piazzole di sosta dove
può attendere mentre si studiano vie di fuga, disponendo di tempo e di
libertà che non sarebbero mai concessi al reddito da lavoro. Ci hanno
spiegato la strategia. Un atteggiamento benevolo e relativamente
tollerante verso il capitale, incoraggia una parte dei grandi pagamenti
che, altrimenti, potrebbero non avvenire mai. In questa fase (che sembra
la battaglia finale di difesa della ricchezza, ma riguarda invece una
serie di espedienti per tenere impegnata e dividere la politica fino a
quando più o meno tutti, salvo pochi fuori gioco, si convincono che, con
le buone, qualcosa si ottiene sempre, e che qualcosa è meglio di
niente) cambiano i ruoli dei protagonisti della scena sociale.
Gli
operai diventano ostaggi. “Spiacenti, ma dovremo chiudere e licenziare
tutti se non accettate le nostre richieste”. Ma anche: “È necessario un
taglio di una certa parte del personale, altrimenti non potremo
rilanciare l’impresa e non saremo in grado di pagare”. Si parla di
tasse, e dunque i governi si fanno attenti. Accade che i ministri del
Lavoro partecipino (a volte con i sindacati) a preparare le liste degli
ostaggi da offrire, qualche migliaio di vittime per il bene di tutti, un
rito sacrificale che si ripete infinite volte. I politici diventano
gabellieri. E devono essere gabellieri inesorabili con il lavoro, da cui
bisogna esigere l’ultimo centesimo, e aggiungono le tasse nascoste dei
ticket e degli improvvisi aumenti di tariffe (elettricità, treni), ma
rispettosi con le imprese, altrimenti collezionano dati e valutazioni
economiche che non favoriscono le rielezioni.
Alcuni intellettuali
(specialisti di sociologia e di lavoro) assumono spontaneamente il
ruolo dei prigionieri che facevano i comici nei campi di sterminio: ti
spiegano che sono arrivati in massa i robot e non c’è più bisogno di
operai. Ti dicono che bisogna imparare l’uso proficuo delle ore libere,
che non sono poi così male. Ti suggeriscono uno slogan popolare in tempi
completamente diversi: “Lavorare meno per lavorare tutti”.
Gli
economisti contano in piccolo e, se possono, non alzano gli occhi per
vedere dove si nascondono le grandi ricchezze. Sono medici militari che
si prestano a dichiarare “abili al servizio” uomini e donne per compensi
sempre più bassi. Intanto arrivano le cifre della ricchezza dislocata
in un altrove che non fa più parte di ciò che chiamiamo “gli Stati” o
“la società”.
Ti dicono che è evaporato il 10 per cento, il 20 per
cento, il 30 per cento dei Pil del mondo. Devi per forza trarre alcune
conseguenze. La prima è che si tratta, in realtà, di cifre molto più
alte, perché, se questo sistema di separazione dei mondi funziona, non è
ragionevole pensare che vi sia continenza e una propensione a dire
“adesso basta”. Sottrarre tutto sembra un progetto possibile.
La
seconda conseguenza è che tutti i conti del mondo sono falsi e che
adesso si spiega, in modo antico, quasi da favola, la frase che precede
tanti sacrifici: “Sono finiti i soldi” oppure “una volta si poteva ma
adesso non si può più”.
La terza conseguenza è che, dopo un simile
furto, non rimediabile e non punibile, se con gravi giudizi morali, non
può continuare la politica come prima. E gli economisti devono smettere
di non vedere l’immenso scarabocchio che cambia il senso dei loro
trattati. Tutto, in condizioni immensamente difficili, deve ricominciare
da capo. Deducendo le enormi perdite, ma smettendo di metterle a carico
dei poveri.