Il Fatto 12.10.17
Caro Minniti, zone franche come Ostia esistono
di Antonio Padellaro
“È la dimostrazione che in Italia non esistono zone franche”.
Marco
Minniti, ministro degli Interni (dopo l’arresto a Ostia di Roberto
Spada, aggressore del giornalista di “Nemo”, Daniele Piervincenzi)
Gentile
Ministro,per la nostra lunga conoscenza e per la considerazione che ho
verso il suo impegno nell’azione di governo, mi permetto di rivolgermi a
lei con estrema franchezza. Purtroppo non è così: in Italia di zone
franche ne esistono ancora, spesso ignorate dalle istituzioni e
abbandonate al proprio destino. Fino a quando accade qualcosa di grave, i
media illuminano la scena e allora lo Stato interviene e applica la
legge con il massimo rigore. Meglio tardi che mai.
Su Ostia, in
questi giorni, abbiamo appreso cose sconcertanti che lei conosce
perfettamente e che non ripeterò. La lettura dei giornali e
l’informazione televisiva assai ricca di testimonianze e analisi rendono
tuttavia ineludibili alcuni interrogativi. Come è stato possibile che
in quell’importante municipio (la tredicesima città più popolosa
d’Italia) dopo anni di indagini giudiziarie sulla presenza invasiva
della mafia, seguite da arresti eccellenti e da un commissariamento
prefettizio, come è stato possibile che esponenti mafiosi con le
collaudate tecniche dell’estorsione e dell’intimidazione, compreso l’uso
della violenza fisica, abbiano continuato a fare i loro comodi? Come è
stato possibile che (come abbiamo appreso), soprattutto nei quartieri
popolari di Nuova Ostia, sia la legge del crimine ad assegnare le
abitazioni, a risolvere le controversie, ad amministrare perfino la
“giustizia”, e tutto ciò nel più completo degrado e abbandono? Forme
radicate di antistato che pensavamo esistessero soltanto nelle fiction
di Gomorra o Suburra e che invece comandano indisturbate a pochi
chilometri dal Quirinale, da Palazzo Chigi e, mi lasci dire, dal
Viminale.
La cosa peggiore, però, è che tutto ciò sia considerato
“normale” da numerosi abitanti di Ostia. E che la capacità di consenso
mafioso abbia inquinato le falde profonde della democrazia fino a
distorcere le più elementari regole del vivere civile. Lo dimostrano la
solidarietà espressa a gran voce nei confronti dello Spada (e della sua
potente famiglia) mentre costui veniva arrestato dai carabinieri; e gli
insulti rovesciati contro i giornalisti colpevoli di aver turbato con
inopportune domande l’“ordine costituito”. Lo sappiamo bene: se la
famosa testata avesse raggiunto un cittadino qualsiasi invece che un
cronista provvisto di telecamera, chi lo avrebbe mai appreso? E quanti
nasi sono stati spaccati in questi anni a scopo dimostrativo dai vari
Spada a piede libero, e mai denunciati da chi in quella landa è
costretto a vivere, anzi a sopravvivere ogni giorno?
Signor
ministro, non ci dice niente che in queste elezioni due cittadini del
litorale romano su tre non siano andati a votare perché (riassumo)
“tanto non cambierà nulla”? E che tra gli elettori dell’arrembante
CasaPound ci siano soprattutto giovani e giovanissimi che nei lugubri
rituali del fascismo “del Terzo millennio”, così come nella caccia “al
negro” da pestare trovano le terribili e irrazionali risposte a un
drammatico risentimento generazionale, a un’esistenza che non lascia
intravedere un futuro degno? Come vede in queste poche righe non ho
citato le responsabilità politiche di questo o di quello. Non servirebbe
a niente accusare le colpe di quelli che c’erano prima o l’inettitudine
di quelli che ci governano ora. L’unica cosa di cui i cittadini di
Ostia non hanno bisogno sono ulteriori dosi di disgusto verso la
politica e le istituzioni. Che tuttavia, ne converrà, non può salvarsi
l’anima grazie a una provvidenziale (non certo per il coraggioso
collega) testata sul naso. Con immutata stima.