Corriere 7.11.17
America
La stampa resta libera ma Trump ha reso la verità irrilevante
L’avvocato Abrams: le fake news limitano la capacità di giudizio della gente
di Massimo Gaggi
«È
paradossale. I media esercitano la loro libertà con un vigore mai visto
prima alla ricerca della verità dei fatti, eppure perdono peso e
credibilità: nonostante le minacce, Donald Trump non ha varato leggi
liberticide, ma con le sue continue campagne denigratorie a base di
tweet rende la verità irrilevante».
Floyd Abrams sorride
mestamente nella penombra pomeridiana del suo studio di Pine Street
nella sede di Cahill, lo studio legale della quale è consigliere
generale e per la quale lavora da 54 anni. Monumento vivente della
difesa della libertà di stampa in America da quando, nel 1971, difese il
New York Times per la pubblicazione dei Pentagon Papers sulla guerra in
Vietnam, il celebre avvocato del Primo Emendamento della Costituzione,
quello che in America garantisce un illimitato diritto al free speech ,
nella sua vita professionale ha visto di tutto. Ma non avrebbe mai
immaginato che alla Casa Bianca potesse arrivare un presidente che
istituzionalizza le fake news .
Cominciamo dalla libertà di
stampa. Anni fa lei si disse preoccupato per l’atteggiamento di Obama
che faceva ricorso con una certa frequenza all’Espionage Act, una legge
del 1917, contro i giornalisti che raccolgono informazioni sensibili nel
governo e le sue agenzie. Con Trump va ancora peggio o è solo rumore di
fondo?
«Obama ha fatto cose sbagliate, ma nulla in confronto a
Trump che minaccia di continuo la stampa. Minacce immediate, come quella
di arrestare i giornalisti che esagerano, o di lungo termine, come
quando ipotizza di togliere alla Nbc la licenza per le trasmissioni
perché, secondo lui, dà informazioni non accurate. Intendiamoci: non può
succedere. Dovrebbero cambiare le leggi, la giurisprudenza e il modo di
operare della Fcc, l’authority di controllo. Nel lungo periodo, però,
le cose potrebbero cambiare, se muteranno gli umori dei parlamentari e
dell’opinione pubblica. Ma non ora. Tanto più che sul piano giudiziario i
suoi furiosi tweet sono un autogol».
In che senso, scusi?
«Chiunque,
nei media, dovesse subire un intervento liberticida del governo,
potrebbe chiedere protezione alla magistratura sostenendo che il
presidente è prevenuto e vuole punire la stampa. E probabilmente la
spunterebbe: dovrebbe solo allegare i tweet nei quali Trump definisce le
reti televisive Usa “nemici del popolo” o sostiene che bisogna
obbligarle a dire la verità. Dal punto di vista strettamente legale quei
messaggi diffusi sui social network sono un vero boomerang. Vale anche
per le esternazioni del presidente in altri campi come il terrorismo.
Non mi stupirei se la condanna che verrà inflitta all’attentatore della
pista ciclabile del Lower West Side fosse impugnata con successo dai
suoi difensori sostenendo che il presidente, che ha invocato la pena di
morte, ha esercitato pressioni indebite condizionando l’indipendenza del
suo ministero della Giustizia: una lesione del diritto di ogni imputato
a un giusto processo».
Allora cosa teme?
«Per ora sul piano
giuridico la libertà di stampa è pienamente garantita e in questo anno è
stata esercitata con straordinaria energia. Ma la continua campagna
denigratoria del presidente nei confronti dei media ha un micidiale
effetto cumulativo su una vasta parte dell’opinione pubblica; o, almeno,
su quella minoranza significativa che crede in lui, ormai convinta che
la stampa non va creduta per definizione. Non solo aizza i cittadini
contro i giornalisti, ma diffonde indifferenza per la nozione di verità.
Una manovra tutta extralegale».
Il polverone delle fake news non ha, quindi, rilevanza giuridica.
«Non
ha un impatto diretto sulla libertà di chi fa informazione, ma avvelena
e alimenta il cinismo dell’opinione pubblica. Riduce il ruolo dei
media. E poi tenta anche di ridurre il diritto e la capacità della gente
di farsi le sue idee, come con l’attacco ai giocatori di football che
si inginocchiano quando viene intonato l’inno».
Un attacco al free
speech? È per questo che ha appena pubblicato un nuovo libro, «The Soul
of the First Amendment», a difesa di questo baluardo della
Costituzione?
«L’ho pubblicato da poco, ma l’ho scritto tra 2015 e
2016, pensando ad altre minacce contro la libertà d’espressione. Quando
Trump attacca con violenza o il suo vice Pence se ne va per protesta da
uno stadio dove i giocatori si inginocchiano, c’è un tentativo di
limitare la capacità di giudizio della gente. Ma va ricordato che gli
atleti non sono protetti dal Primo Emendamento: una norma che si applica
solo agli abusi di potere dei governi. Mentre i privati possono
limitare la libertà d’espressione all’interno delle loro organizzazioni.
La Costituzione può essere invocata solo se il vertice politico
esercita pressioni indebite per limitare la libertà: proprio quello che
stanno facendo Trump e Pence».
Solo responsabilità di Trump per il
caos comunicativo? E le reti sociali megafono di falsi, onnipotenti e
non regolamentate, a differenza degli altri media?
«La bilancia
del potere nei media è cambiata radicalmente. Facebook, Google e Twitter
non sono attori statali, quindi non sono soggetti al Primo Emendamento:
se vogliono, possono controllare i loro flussi informativi. Molti ormai
si informano solo su Facebook che ha un potere sterminato. Mi aspetto
che prima o poi sia regolato. Ma non è facile».
Ci sono reti che
cancellano gli account di soggetti russi che seminano fake news per
gettare l’America nel caos. Ma li puniscono perché hanno dato false
identità, non per il contenuto di questi messaggi. Corretto?
«Le
società di Internet devono decidere cosa pubblicare e cosa censurare? Io
credo di no, se non ci sono violazioni di norme fondamentali».
Libertario
fino in fondo, lei lo è anche nel chiedere che Assange e Snowden non
vengano puniti. Ne è ancora convinto davanti a Wikileaks usata dal
Cremlino? Lei è un liberal che rischia di essere odiato dai liberal.
«Sì,
lo credo ancora. Non mi piace ciò che hanno fatto, ma punirli creerebbe
un vulnus della libertà: un grave precedente. Mi odieranno, lo so. Mi
odiano già per il mio appoggio a Citizens United (la sentenza che ha
consentito ai gruppi economici di fare campagne politiche senza limiti,
ndr): mi rassegnerò anche a questo» .