martedì 7 novembre 2017

Corriere 7.11.17
I DEMOCRATICI
È caos nel Pd dopo il voto E Pisapia si avvicina a Grasso
Incontro tra l’ex sindaco e il presidente del Senato, che così replica alle accuse dei dem: patetiche scuse
di M.Gu.

PALERMO La sconfitta del Pd in Sicilia è destinata a rivoluzionare gli assetti dell’intero centrosinistra. Se non avrà ripercussioni immediate sulla leadership di Matteo Renzi, di certo innescherà reazioni a catena nei partiti e tra i partiti. A segnare il cambio di fase è l’incontro, ieri a Palazzo Giustiniani, tra il presidente Pietro Grasso e Giuliano Pisapia, che è andato a portare la sua solidarietà alla seconda carica dello Stato per le bordate dei luogotenenti renziani.Non è stato solo un incontro di cortesia. Il faccia a faccia tra l’ex sindaco di Milano e il leader in pectore del movimento — che metterà insieme Mdp, Sinistra Italiana, Possibile di Pippo Civati e, forse, anche i leader del Brancaccio, Falcone e Montanari — apre uno scenario nuovo a sinistra del Pd. È la prima volta che Grasso e Pisapia si vedono per parlare di come costruire una alleanza alternativa, che volti pagina rispetto al renzismo. D’altronde la débacle in Sicilia spezza ogni tentativo di saldare un’alleanza con il Pd prima del voto. E se i renziani bombardano Grasso, individuato come il capro espiatorio e ritenuto un pericoloso competitor per la premiership, il presidente è in sintonia con Pisapia nel ricambiare i colpi.
La nota durissima del portavoce è un assaggio dello scontro che si profila: «Imputare a Grasso il risultato del Pd, peraltro in linea con tutte le ultime competizioni amministrative e referendarie, è una patetica scusa». Al Nazareno, Palazzo Madama rimprovera attacchi personalistici che impediscono «più approfondite riflessioni» sugli errori di oggi e sul futuro della sinistra. Accusato dai renziani di mancanza di coraggio, Grasso non intende caricarsi sulle spalle il peso di una sconfitta non sua, visto che il Pd è reduce da una lunga serie di batoste: Roma, Torino, Sesto San Giovanni, il Friuli Venezia Giulia e ora la Sicilia. Il presidente ricorda di aver comunicato ufficialmente già il 25 giugno le ragioni «di carattere istituzionale» per le quali si sottrasse al pressing di Renzi, che voleva candidarlo alla guida della Sicilia. E respinge «merito, metodo e contenuti dell’attuale classe dirigente del Pd», stigmatizzando «lo stile e l’eleganza dei commenti» di Davide Faraone e compagni.
Mentre la sinistra si organizza, il Pd cerca una tregua per non dilaniarsi lunedì in direzione in una rissa correntizia e sminare l’annunciata resa dei conti. Orlando e Franceschini torneranno a chiedere che Renzi si decida a tessere la tela delle alleanze, allargando il campo a sinistra e al centro. Sul candidato premier invece i due ministri non la vedono allo stesso modo. Il Guardasigilli guarda a un federatore come Gentiloni, il responsabile della Cultura non vuole ancora aprire lo scontro su Renzi.
L’ipotesi di primarie di coalizione sembra sfumare lasciando spazio al teorema di Massimo D’Alema, convinto che un dialogo tra le diverse forze del centrosinistra potrà aprirsi solo dopo la grande conta delle politiche. «Sinistra e centrosinistra sono rimasti fuori dalla partita — avverte il portavoce di Campo progressista, Alessandro Capelli —. Un risultato disastroso che deve far riflettere tutti».