martedì 7 novembre 2017

Corriere 7.11.17
IL VICOLO CIECO DI UN PARTITO ALLA RICERCA DI CAPRI ESPIATORI
di Massimo Franco

L’impressione è che non ci sarà nessun terremoto politico. Per quanto sgualcito dagli elettori e criticato dagli avversari, Matteo Renzi resterà segretario del Pd e, se riuscirà, anche candidato a Palazzo Chigi; ma solo per il suo partito. Dietro l’apparente apertura, i dem si preparano a confermare la blindatura del segretario. E nessuno tra quanti sono additati come la fronda interna ha la voglia né la forza di azzardare la resa dei conti a pochi mesi dal voto politico. La nomenklatura che si è riunita intorno a Renzi, cementata dalla battaglia referendaria persa nel dicembre scorso e dalla scissione, rimane con lui.
L’insuccesso in Sicilia e a Ostia viene riconosciuto come «sconfitta», con molte scusanti. La tentazione di scaricare la responsabilità sugli scissionisti dell’Mdp, sull’eredità della giunta Crocetta, e perfino, in modo maldestro, sul «no» del presidente del Senato Pietro Grasso a candidarsi, è istruttiva. Fa registrare l’ennesimo tentativo di trovare all’esterno responsabilità che sono del gruppo dirigente, locale e nazionale. D’altronde, il magro risultato della lista guidata da Claudio Fava cancella l’incubo di una concorrenza del gruppo di Pierluigi Bersani al Pd renziano.
La sconfitta è di tutta la sinistra. E il vertice dem ha gioco facile nel bollare le «strumentalizzazioni». Renzi commenta il forfait di Luigi Di Maio per il faccia a faccia con lui su La7. Replica al candidato del M5S a Palazzo Chigi che ha definito «defunto» il Pd e liquidato Renzi come un ex candidato premier; ma in realtà sembra parlare al proprio partito. «Il leader del Pd», scrive, «lo decidono le primarie, cioè la democrazia interna. Non le correnti, non il software di un’azienda privata».
Suona come un avvertimento a quel «club dei ministri» evocato come grumo ostile alla sua leadership. Il presidente del Pd, Matteo Orfini, ma anche governatori regionali come Michele Emiliano, fanno presente che è impensabile chiedere un passo indietro al segretario. La verità è che scaricare le responsabilità sul solo Renzi è difficile, per un gruppo dirigente che ne ha condiviso le decisioni per anni. I dem sono prigionieri dei risultati del congresso e dell’assenza di alternative. Il pericolo di rimuovere l’emorragia di voti, tuttavia, è in agguato.
Per questo, dietro le parole da trincea aumenta la consapevolezza che gli insuccessi esigono un superamento dello schema egemone utilizzato finora. L’ipoteca su Palazzo Chigi sfuma. Si cercano alleati. E l’uscita di Grasso, che ieri ha ricevuto Giuliano Pisapia in Senato, agita il partito in modo inaspettato. L’impressione è che tra i dem Renzi continui a non avere avversari insidiosi. Ma aumentano i problemi fuori, nel rapporto compromesso con l’elettorato. Il centrodestra è resuscitato, il M5S si è rafforzato, e l’astensionismo cresciuto. Per questo sarà duro uscirne indenni.