Corriere 6.11.17
Devin il killer 26enne, un ex militare che insegnava la Bibbia ai bambini
di Guido Olimpio
Era stato congedato con disonore dall’aviazione. Sui profili social la foto di un mitra
Sono
i mille volti del terrore. All’inizio di ottobre il tiro al segno sulla
folla davanti al Mandalay Hotel di Las Vegas, con quasi 60 vittime. Poi
l’attacco con un veicolo-ariete nelle strade di New York condotto da un
giovane uzbeko nel nome dello Stato Islamico. Ora l’assalto a
Sutherland Springs, Texas: massacro che — secondo le autorità — è il
peggiore mai avvenuto in una chiesa degli Usa. Per la polizia a
compierlo è stato Devin Patrick Kelley, 26 anni, sposato, originario di
New Braunfels, sobborgo di San Antonio. Ieri è è entrato in chiesa
vestito di nero e con un giubbotto antiproiettile. Dal 2009 al 2013 era
nell’US Air Force da dove è stato congedato con disonore dopo essere
finito davanti alla Corte marziale. Successivamente avrebbe tenuto corsi
estivi sulla Bibbia nei dintorni di Sutherland. Nella sua pagina
Facebook, il 29 ottobre, aveva postato una foto di un AR 15, fucile
usato in molte delle stragi che hanno insanguinato l’America e la fanno
sentire sotto assedio.
C’è l’individuo che prende di mira il
prossimo solo per sfogare la sua rabbia e rispondere ai «soprusi» che
pensa di aver subito. O semplicemente passa all’azione spinto
dall’instabilità mentale. C’è il terrorista fai-da-te, che studia
l’ideologia jihadista sul web e magari è ispirato in modo remoto. Oppure
c’è lo xenofobo, pieno d’odio, che imita il mujahed. Scenario già visto
nel 2015 a Charleston, in South Carolina, quando il neonazi Dylann Roof
è entrato in un tempio afro-americano e ha freddato nove persone
raccolte in preghiera. Sentieri e date si sovrappongono: Kelley ha agito
nell’anniversario dell’attentato di Fort Hood — era il 5 novembre del
2009, sempre Texas — attuato dal maggiore dell’esercito americano Nidal
Hassan, un ufficiale «influenzato» dal qaedismo.
Sono solo alcuni
eventi di una catena di violenza — con molte matrici — che sconvolge uno
dei Paesi in teoria meglio difesi. Polizie municipali equipaggiate come
un esercito, dipartimenti della sicurezza che spendono montagne di
denaro per la sicurezza, agenzie che spiano e sorvegliano. Eppure tutto
questo non basta. Come non bastano le pistole nella fondina di milioni
di americani. Anzi alcune di queste armi invece che garantire protezione
finiscono per tramutarsi in mezzi di sterminio: non eliminano i
«cattivi», annientano gli innocenti. Come i bimbi di Newtown portati via
dalla follia di Adam Lanza e gli appassionati di musica country lungo
lo strip di Las Vegas. Le statistiche dicono che ci sono 88 armi ogni
100 persone, arsenali che continuano a crescere dopo ogni strage per il
timore che le autorità pongano dei limiti.
Il movente è importante
solo fino ad un certo punto. Anche perché per alcuni episodi gli
investigatori non hanno risposte precise. Il terrorismo «personale» —
che magari non ha una radice ideologica — si accompagna a quello
innescato dalle tensioni politiche. I conflitti in Medio Oriente,
lontani migliaia di chilometri, sono la «benzina» che alimenta alcuni
dei killer. Ma anche le tensioni razziali vicine, in un Paese mai così
diviso, si tramutano in un innesco micidiale. Ancora: i luoghi di culto
che diventano bersagli.
A tenere tutto insieme la propensione alla
violenza e la preparazione dell’atto. Agevolate dalla disponibilità di
bocche da fuoco, con caricatori capaci e meccanismi che permettono di
usarne in quantità «militare». Pensate i 23 fucili accumulati da Paddock
nella sua stanza d’hotel di Las Vegas trasformata poi in postazione da
cecchino. E prima di lui la coppia islamista di San Bernardino e la
guardia giurata di Orlando, Omar Mateen. Tutti si considerano, a modo
loro, dei vendicatori. Spesso sono metodici e precisi nella messa a
punto del piano. Ma alla fine sono soltanto degli assassini.