Corriere 3.11.17
Resistenza Un saggio di Matteo Incerti
(Imprimatur) rievoca un episodio della lotta di Liberazione avvenuto nel
1945 ad Albinea (Reggio Emilia)
E la cornamusa beffò i nazisti
Un’azione partigiana camuffata da attacco alleato per evitare rappresaglie
di Gian Antonio Stella
«“Ci
hanno assaltato all’improvviso, stavamo dormendo. Uomini da tutte le
parti: erano invasati, ispirati da un folle che suonava nel bosco”
riferì il soldato, leggermente ferito a un braccio. “Suonava nel bosco?
Chi diavolo suonava nel bosco?” chiese sbalordito Hauck. “Sì, con una
cornamusa”».
Compare così, nel libro I l suonatore matto di Matteo
Incerti (Imprimatur), il leggendario David Kirkpatrick, detto appunto
mad piper , il «cornamusiere folle» che, paracadutato il 24 marzo 1945
con il kilt a quadrettoni e lo strumento musicale scozzese
sull’Appennino reggiano, partecipò tre giorni dopo alla cosiddetta
«Operazione Tombola». Cioè l’assalto a Villa Rossi e Villa Calvi, due
antiche e nobili ville di Albinea occupate dalla Wehrmacht per ospitare
la V Sezione del Comando generale tedesco in Italia e il quartier
generale del Corpo alpino tedesco sulla Linea Gotica occidentale.
Aveva
già avuto degli eroi, Albinea. Ragazzi che avevano dato la vita nella
guerra ai nazisti. Su tutti cinque tedeschi: Erwin Bucher, Martin Koch,
Erwin Schlunder, Karl-Heinz Schreyer e Hans Schmidt, un giovane
socialista berlinese arrestato e incarcerato nel 1935 perché ostile al
Führer, arruolato a forza verso la fine della guerra e inviato alla
compagnia trasmissioni della Luftwaffe lì, nella cittadina reggiana.
Dove appena possibile aveva preso contatto coi partigiani.
«Voleva
consegnarci il centro trasmissioni, con le armi, le radio e tutto il
materiale che per noi sarebbe stato prezioso», avrebbe raccontato Oddino
Cattini, della 37ª brigata Gap. «Lui, e altri soldati d’accordo con
lui, sarebbero venuti in montagna, come nucleo iniziale di una
formazione che raccogliesse altri disertori tedeschi». All’ultimo
momento erano stato traditi, catturati, torturati, giustiziati, buttati
in una fossa comune. «Prima di ritirarmi dal cimitero mi avvicinai al
comandante chiedendo se potevo avere i nomi. Mi rispose seccamente di
no», avrebbe ricordato il parroco, don Alberto Ugoletti. «Uscendo un
soldato mi si avvicinò e mi disse: domattina ritorni sulla tomba e sotto
le zolle troverà dei biglietti col nome. Sono figli di un dio ignoto,
prete».
Era la fine di agosto del 1944. L’anno delle stragi
naziste sull’Appennino tosco-emiliano. Delle mattanze a Sant’Anna di
Stazzema, a Marzabotto, a La Bettola di Vezzano sul Crostolo…
Carneficine decise per rabbiosa rappresaglia contro la guerriglia dei
partigiani che dalle montagne scendevano a colpire a sorpresa le truppe
tedesche. E proprio per evitare l’ennesimo eccidio, alla fine di marzo
del 1945, un mese prima del 25 aprile che avrebbe visto l’insurrezione
in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, David mad piper
Kirkpatrick fu paracadutato sull’Appennino… Occorreva dimostrare
assolutamente, per evitare l’ennesima ritorsione nazista sulla
popolazione civile, che l’attacco dei parà alleati alle ville occupate
dai comandi tedeschi era un attacco condotto da militari in divisa.
Tra
i partigiani che tra quelle montagne facevano i basisti della «Tombola
operation» c’era un uomo che se ne è andato a novant’anni proprio in
questi giorni. Si chiamava Bruno Gimpel e dopo la guerra sarebbe
diventato un celebre revisore dei conti e stretto collaboratore di
Enrico Cuccia. Figlio di reggiani, nato e cresciuto a Londra, era stato
costretto a venire in Italia dopo lo scoppio delle ostilità, quando
Churchill aveva lanciato contro i nostri emigrati un ordine scellerato:
«Acciuffateli tutti». Senza eccezioni. Un ordine che aveva colpito
perfino ebrei rifugiati a Londra dopo le leggi razziali ed era costato
la vita a 446 nostri connazionali prigionieri, col filo spinato alle
porte, sulla nave Arandora Star, affondata da un siluro tedesco.
«Il
primo giorno di scuola, arrivato a Reggio Emilia, mi chiesero di
commentare una frase di Mussolini: “È l’aratro che traccia il solco ma è
la spada che lo difende”», avrebbe raccontato Gimpel a Matteo Incerti,
«Lasciai il tema in bianco. Non capivo né il senso né lo scopo di un
esercitazione su un tema del genere. Lo ritenevo uno slogan senza senso e
idiota per me che venivo dalle scuole inglesi ed ero cresciuto con la
democrazia nel sangue».
Quando don Pasquino Borghi, un prete che
aveva fatto il seminario ad Albinea e conosceva la sua famiglia, venne
fucilato per aver dato ospitalità a partigiani in fuga, Bruno e il
fratello Franco si decisero. Entrarono in contatto prima con la
Resistenza e poi, grazie all’inglese fluente che parlavano, con il Soe,
il servizio segreto di guerra britannico, per il quale il sedicenne
Bruno, bravissimo in matematica, traduceva i codici segreti. Sbocco
finale: l’ingresso nella squadra speciale «Gufo Nero» di Glauco «Gordon»
Monducci, il partigiano che insieme coi militari britannici portò a
termine l’«Operazione Tombola».
L’idea di portarsi dietro uno
«zampognaro» scozzese, tra i paracadutisti che dovevano sorprendere i
tedeschi dando l’assalto alle due ville, racconta Incerti nel libro,
venne al maggiore Roy Farran: «Facciamoci paracadutare un suonatore di
cornamusa, e che porti con sé anche il kilt. Sarà il nostro sigillo
sull’azione, la nostra arma segreta». E spiegò ai perplessi: «Sarà di
fondamentale importanza. Chi penserà mai che cento pazzi, per lo più
irregolari, scenderanno per miglia e miglia a valle per attaccare il
quartier generale tedesco alle porte della città di Reggio Emilia e che
chi avrà salva la pelle da quell’inferno se ne ritornerà a gambe levate
sui monti? Penseranno che gli Alleati abbiano sfondato le linee nemiche,
li getteremo nel panico… Chi penserà che a questo attacco
parteciperanno in massa anche partigiani italiani e russi? Vedranno i
nostri baschi, quel suono si propagherà ovunque. Per noi le note della
vittoria, per loro quelle del capitolazione. Sarà il nostro sigillo.
Dovrà sembrare, anzi, essere un assalto militare britannico in piena
regola. Suonerà Highland Laddie ». Un’antica ballata popolare.
E
fu così che la notte dell’assalto alle due ville, tra i colpi delle
granate e le raffiche delle mitragliatrici, tutti sentivano in
lontananza, nel bosco, il suono della cornamusa dentro la quale David
mad piper Kirkpatrick soffiava tutto il fiato che aveva nei polmoni. La
mattina dopo un camion si fermò davanti alla chiesa di Albinea. Nel
cassone c’erano i cadaveri di tre soldati in divisa. «Li lasceremo nella
cappella mortuaria. Provveda lei alla sepoltura», disse un sergente
della Wehrmacht. Il parroco, quel don Ugoletti che l’anno prima aveva
sepolto Hans Schmidt e gli altri «figli di un dio ignoto» che avevano
salvato un pezzetto dell’onore tedesco ribellandosi al nazismo, si sentì
gelare: «Ci sarà un’altra rappresaglia?» No, rispose il sottufficiale.
Era stata un’operazione di militari britannici. C’era perfino un matto
che suonava la cornamusa…