Corriere 30.9.17
Memoria Un saggio di Bruno Maida (Einaudi) sulla sorte terribile toccata ai più piccoli nelle guerre del Novecento
Il secolo dei bimbi sterminati Una tragedia che non è finita
Invece di proteggere l’infanzia gli Stati continuano a vendere armi
di Corrado Stajano
È
difficile dimenticare «la bambina della foto», Phan Thi Kim Phúc che
l’8 giugno 1972 corre corre, bruciata dal napalm durante la guerra del
Vietnam. Si è strappata la vestina che aveva preso fuoco, urla e piange,
le braccine spalancate, immortalata dal fotografo Nick Ut che la
porterà all’ospedale dove sarà salvata.
I bambini e la guerra. Il
dolore e la pietà. La violenza e l’aggressività. La vita appesa a un
filo traballante. La gratuità della morte. Le stragi belluine. Le guerre
patriottiche e quelle di rapina. I bambini vittime. I bambini soldato. I
bambini protagonisti. I bambini testimoni di genocidi e di altri fatti
atroci che non dimenticheranno mai, non diversamente dagli adulti. (La
guerra, risulta da tanti segni, memorie, diari, è forse il fatto che per
tutta la vita non smette di pesare sul cuore dell’uomo) .
Bruno
Maida, ricercatore dell’Università di Torino, ha scritto per Einaudi un
corposo saggio sui bambini e i conflitti nel mondo: L’infanzia nelle
guerre del Novecento , un libro importante e partecipe, fondato su una
ricchissima documentazione. Autore di uno studio sulla Shoah dei
bambini, Maida articola ora il suo nuovo libro in una serie di capitoli
tematici: il rapporto tra infanzia e guerra, la legislazione sui civili
diventati i veri attori dei conflitti, la Prima guerra mondiale, il
fascismo, il nazismo e lo stalinismo, la Seconda guerra mondiale, i
processi di decolonizzazione postnovecenteschi, le eredità delle guerre,
i ricordi dei bambini e quelli sui bambini.
Le guerre nascono col
mondo e con loro anche i bambini soldato, non sempre costretti, ma
affascinati non raramente dalle divise e dalle armi. Il gioco della
guerra.
Napoleone creò il Reggimento dei Pupilli della Guardia;
nella guerra civile americana avrebbero combattuto centomila ragazzi di
età inferiore ai 15 anni. Tra i Mille di Garibaldi risultano un
undicenne, due tredicenni, tre quattordicenni e altrettanti quindicenni.
Nel Cuore di De Amicis — Il tamburino sardo , La piccola vedetta
lombarda — i fanciulli sono ansiosi di prender parte, le armi in pugno,
alle guerre risorgimentali.
Nelle guerre del Novecento il numero
dei morti è raccapricciante: 100 milioni, di cui 62 milioni di civili,
senza contare quasi 100 milioni uccisi in altre stragi. Numerosi i morti
bambini e ancor più gli orfani, con la conseguente degenerazione di
intere comunità.
Nel 1945 si pensava che dopo la bomba atomica,
dopo la Shoah, si sarebbe vissuti serenamente, al riparo dalle bombe. In
Europa è accaduto, o quasi — se non si considera il terrorismo — ma si
calcola che in quel secolo i conflitti siano stati nel mondo quasi 250.
Soltanto negli anni Novanta del Novecento — scrive Maida — sono
scoppiate 30-40 guerre. L’80 per cento delle vittime sono civili,
moltissimi tra loro i ragazzini: una stima indica che tra il 1985 e il
1995 ne siano stati uccisi circa due milioni.
Fin dalle origini il
fascismo è portatore della sua dottrina militaresca anche per gli
innocenti pargoli. A sei anni gli scolari indossano la divisa di figlio
della Lupa, il fucilino del balilla moschettiere è il gran miraggio. I
maestri, che indossano la sahariana nera col pugnaletto alla cintura,
predicano la fede nella grandezza imperiale di Roma. Il desiderio di
arruolarsi, piccoli soldati, soprattutto al tempo della guerra
d’Etiopia, è cocente. Mussolini è il mito vivente: «Giuro di eseguire
gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e se necessario
col mio sangue la causa della Rivoluzione fascista», recita l’obbligato
giuramento. Poveri bambini, si sa come andrà a finire.
Il nazismo
segue la stessa via, ogni bambino deve essere un cittadino-soldato al
servizio del Führer, «da prima del suo concepimento». «A scuola — scrive
Maida — le lezioni di religione terminavano con il saluto al Führer.
(...) I bambini dovevano esclamare all’inizio: “Heil Hitler! Sia lodato
Gesù Cristo in eterno, amen”, per concludere con: “Sia lodato Gesù
Cristo in eterno, amen. Heil Hitler!”».
In Unione Sovietica le
cose non andavano diversamente. I giovani pionieri dovevano essere
sempre pronti alla lotta per la classe operaia: giuravano di esser
fedeli ai precetti di Lenin, di voler combattere con fermezza per il
comunismo. Ordine e disciplina. Libri e moschetti anche qui. Alla
vigilia della Seconda guerra mondiale i pionieri erano 11 milioni. Nella
figura del generale Kutuzov che nel 1812 aveva sconfitto le armate di
Napoleone, i piccoli russi dovevano intravedere le virtù leggendarie di
Stalin.
Furono i nazisti, forse, i bambini che impararono meglio
la lezione. Un esempio. Nel 1943 fu creata la 12ª SS Panzer Division
Hitlerjugend, 10 mila ragazzi. Combatterono su più fronti, soprattutto
in Normandia. «Fanatici e motivati», scrive Maida, «ne sarebbero tornati
a casa solo seicento».
Dei sei milioni di ebrei uccisi durante la
Seconda guerra mondiale almeno un milione erano bambini. Pochissimi
riuscirono a salvarsi nei lager di Treblinka, Sobibór, Belzec, Chelmno.
«La condizione dell’infanzia ad Auschwitz è incarnata in Hurbinek, che
era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz, dimostrava
tre anni circa, nessuno sapeva nulla di lui, non sapeva parlare e non
aveva nome»: lo racconta Primo Levi nel suo La tregua . «Nulla resta di
lui: egli testimonia attraverso queste mie parole».
Poi nella
seconda metà del Novecento e nel Duemila affliggono il mondo guerre
spesso sconosciute, portatrici di fame, di povertà, di disperazione, di
marginalità.
Le fabbriche di armi sono sempre al lavoro. Lo
insegna Trump. Ma anche negli anni passati non sono mai mancate le
commesse: dal 1997 al 2000 sono state vendute nel mondo armi leggere per
51 miliardi di dollari.
Maida racconta storie di bambini che non
hanno mai visto una scuola, come in Colombia; di bambini palestinesi che
conoscono soltanto il campo profughi dove sono nati; di bambini che in
Rwanda, secondo una ricerca dell’Unicef, sono stati testimoni di
assassinii, hanno visto uccidere i famigliari, sono stati minacciati di
morte. In Siria, tra il 2011 e il 2013, sono stati uccisi più di 10 mila
bambini; in Pakistan, nel 2014, i Talebani hanno ammazzato in una
scuola 132 bambini; in Cambogia, tra il 1975 e il 1979, morirono in
guerra circa 2 milioni di persone, innumerevoli i bambini, spesso con il
kalashnikov al collo. Nella guerra tra Iran e Iraq, negli anni Ottanta
del Novecento, persero la vita centomila bambini iraniani, con in tasca
il «passaporto per il Paradiso»; in Uganda, secondo un documento del
Congresso americano del 2009, oltre 66 mila bambini.
L’Asia,
l’Africa, il Sudamerica sono stati i luoghi della geografia della morte.
I diamanti in Sierra Leone, il coltan, un minerale prezioso, in Uganda,
la cocaina in Colombia sono serviti e servono ad arricchire i capi
delle milizie armate e a procurarsi armi.
Quali sono state e quali
sono le manchevolezze del Diritto Internazionale, della vecchia Società
delle Nazioni, dell’Onu, della Unione Europea?
Scrive Maida: «I
bambini con il fucile in mano rappresentano il fallimento degli adulti e
della cultura dell’Occidente che produce armi, le vende e ci si
arricchisce dopo avere avuto una responsabilità non secondaria nella
povertà e nel caos di quei Paesi che vivono in uno stato di guerra
perenne» .