Corriere 29.11.17
La demografa: «Questione culturale La maternità? Un obiettivo tra tanti»
Farina: le coppie italiane non guardano avanti, la crisi economica ha un peso relativo
di Alessandra Arachi
ROMA
Patrizia Farina, lei che è una demografa dell’Università Bicocca di
Milano, e anche membro del Sistan, il Sistema statistico nazionale, ha
visto i dati forniti oggi dell’Istat? Continuano a certificare un calo
delle nascite nel nostro Paese...
«Un calo inevitabile».
Perché?
«Intanto
per come è fatta la struttura della nostra popolazione, ci sono sempre
meno donne e quindi sempre meno donne in età fertile. E poi esiste
un’importante questione culturale che non possiamo ignorare».
Non ignoriamola. Cosa vogliamo dire?
«Fino a 50 anni fa essere madri, e anche madri di molti figli, era in pratica l’unico desiderio di una donna sposata».
Adesso non è più così...
«Ora diventare madre è uno dei tanti possibili obiettivi di una donna, sposata o non».
Per questo abbiamo un tasso di natalità così basso?
«Siamo scesi a 1,26 figli per donna italiana da 1,34 che avevamo ed era già piuttosto basso».
Come mai secondo lei?
«Perché le alternative alla maternità sono tante».
La carriera, ad esempio?
«Ad
esempio, certo. Ma il ventaglio di alternative è talmente ampio, e
suona come una cosa un po’ paradossale rispetto alla nostra tradizione
religiosa».
Abbiamo abbandonato la tradizione e la religione?
«È
successo anche questo. Ma il problema è che noi donne qui in Italia non
siamo capaci di trovare un compromesso fra essere madri o essere
un’altra cosa».
Quindi o facciamo l’una o facciamo l’altra?
«Non sempre, ma tendenzialmente questo è l’atteggiamento. E lo si può vedere bene analizzando i numeri».
Quali numeri?
«Quelli
dove l’Istat ci fa vedere che la riduzione del numero dei primi figli è
responsabile al 57 per cento del calo complessivo della fecondità».
Come legge questo dato, professoressa?
«È un numero che abbatte in maniera evidente l’idea che non si fanno figli per problemi economici».
«I
problemi economici — che pure esistono — frenano l’idea di fare un
secondo o un terzo figlio. Ma quando non si mette al mondo il primo
figlio lo si fa principalmente per tanti altri motivi. Però non è giusto
fermarsi qui».
Cosa intende?
«Sarebbe interessante indagare le aspettative dei percorsi della vita, ma non fermarsi soltanto a quelli delle donne».
Quindi dobbiamo occuparci degli uomini?
«Non
dovrei dirlo perché sono un membro del Sistan, ma quando la statistica
parla di fecondità dovrebbe indagare anche gli aspetti relativi agli
uomini, la loro fertilità, i loro desideri, le loro aspettative».
E cosa si scoprirebbe?
«Si riuscirebbe a capire finalmente perché stiamo marcendo su questi 1,3 figli per donna».
Ci vuole quindi anche un contributo statistico sugli uomini per indagare nel profondo la nostra denatalità?
«Mi
sembra logico. I figli si fanno in due. E le coppie in Italia
dimostrano di non avere la voglia o la capacità di guardare avanti».
Ovvero?
«Non hanno voglia di vedere che il proprio orizzonte si prolunga attraverso i figli».