Corriere 28.11.17
Crescita senza diritti Ecco la soluzione (vista dalla Cina)
di Guido Santevecchi
La
Cina ama la stabilità, al suo interno, alle frontiere del suo impero e
possibilmente nel mondo. Perché la stabilità aiuta i commerci. Ora
questa linea potrebbe essere utile a risolvere la tragedia dei Rohingya.
Nelle ultime settimane Xi Jinping è stato molto attivo: ha spedito il
ministro degli Esteri in Bangladesh e in Birmania a proporre un piano in
tre fasi che prevede un cessate il fuoco nella regione birmana del
Rakhine per fermare l’esodo dei Rohingya; comunicazioni
Bangladesh-Birmania per consentire il ritorno dei profughi; una
soluzione di lungo periodo alleviando la povertà nei due Paesi.
L’economia, secondo Pechino, può curare ogni male e la Birmania per la
sua posizione geografica interessa nel grande progetto «Una Cintura Una
Strada», le nuove Vie della Seta che, ricoperte di infrastrutture, linee
ferroviarie, oleodotti e reti elettriche, dovrebbero collegare la Cina
all’Europa attraversando l’Asia. Il corridoio della Birmania, che dà
accesso all’Oceano Indiano, presuppone la stabilità. Ecco spiegato
l’interesse cinese.
I diritti umani non sono al primo posto in
questo ragionamento: Pechino ha sostenuto per decenni le giunte militari
birmane, anche quando tenevano agli arresti Aung San Suu Kyi. Ora offre
una sponda alla Signora che a causa della repressione orribile dei
Rohingya non è più la stella dell’Occidente. Alle Nazioni Unite la Cina
ha bloccato una risoluzione che esigeva il ritorno dei profughi
ammassati in Bangladesh, facendone passare solo una più blanda e
generica. Xi Jinping ha appena ricevuto il comandante delle forze armate
birmane, quel generale Min Aung Hlaing che è considerato lo stratega
della pulizia etnica contro i Rohingya. Finita la visita di papa
Francesco, Aung San Suu Kyi è attesa a Pechino.
Sta di fatto che,
pur senza manifestare passioni per la difesa dei diritti umani, forse la
via cinese degli incentivi economici è la migliore per fermare la
tragedia del popolo senza Stato e senza diritti. E il Papa, con
pragmatismo, potrebbe apprezzare l’impegno di Xi Jinping, magari
elogiandolo pubblicamente, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo tra
Santa Sede e Cina.