martedì 28 novembre 2017

Corriere 28.11.17
Referendum, un anno dopo Il No (con il 61%) ancora più forte
Per il 64% fu un voto su Renzi
di Nando Pagnoncelli

È trascorso un anno dal referendum costituzionale, il cui esito ha determinato le dimissioni del governo Renzi, il calo di popolarità dell’ex premier e il congelamento di qualsiasi tentativo di riforma. Spesso ci si chiede se tra gli elettori prevalga il rimpianto per l’occasione perduta o, al contrario, la convinzione che la bocciatura sia stata la scelta migliore.
Il sondaggio odierno fa registrare uno scenario immutato rispetto al 4 dicembre dello scorso anno: l’affluenza alle urne sarebbe di poco inferiore (65% contro il 68% effettivo), i contrari prevarrebbero nettamente attestandosi a 61% (contro il 59,1% di 12 mesi fa).
Le motivazioni del voto di un anno fa sono molteplici. Invitati ad indicare le due principali, il 73% degli intervistati menziona la propria valutazione personale sui contenuti specifici della riforma. Al secondo posto, tra i motivi del voto, si colloca il giudizio sul governo Renzi, citato da due italiani su tre (64%), soprattutto tra i sostenitori del No (66%); a seguire troviamo il parere dei costituzionalisti (35%), che sono apparsi più convincenti ai contrari alla riforma (39%) rispetto ai favorevoli (30%). Infine, decisamente minore è risultata l’influenza della cerchia ristretta di familiari, amici e conoscenti (9%), come pure il parere dei leader politici più vicini (9%).
Dalle risposte al sondaggio gli elettori sembrerebbero aver scelto in modo ponderato, sulla base del merito delle modifiche proposte. In realtà si tratta di un processo di razionalizzazione della scelta di allora: basti pensare che alla vigilia del referendum solo il 15% dichiarava di conoscere in dettaglio i contenuti della riforma — aspetto del tutto comprensibile in ragione della scarsa familiarità della maggioranza degli italiani con i temi costituzionali — e, analizzando i singoli punti che la caratterizzavano (trasformazione del Senato, riduzione dei senatori, eliminazione del Cnel, delle Province, ecc.), si registrava un largo consenso, sebbene alla domanda sulle intenzioni di voto nei sondaggi dal mese di luglio in poi prevalesse costantemente il No.
Il voto, infatti, ebbe una forte valenza politica, fu in larga misura un referendum pro o contro Renzi, il quale promise di farsi da parte nell’ipotesi di bocciatura: per gran parte dei suoi oppositori si trattò di una promessa molto invitante, accompagnata dall’aspettativa di nuove elezioni e di un cambiamento della maggioranza di governo.
Nonostante le profezie, talora apocalittiche, da parte dei sostenitori dei due schieramenti durante la campagna referendaria, secondo il 60% degli italiani l’esito non ha avuto alcuna influenza e in Italia le cose sono rimaste esattamente come prima. Una minoranza (17%) è del parere che la situazione sia peggiorata e il 7% che sia migliorata. Le opinioni divergono tra coloro che votarono Sì e quelli del No: tra i primi la maggioranza relativa (48%) ha riscontrato un peggioramento della situazione, tra i secondi il 78% ritiene che non sia cambiato nulla.
Quanto al futuro, il 30% degli elettori ritiene che il responso delle urne renderà impossibile per lungo tempo modificare la Costituzione, a causa della difficoltà sia di trovare un ampio accordo in sede parlamentare che di ottenere il sostegno dei cittadini; al contrario la maggioranza (56%) non ritiene che la bocciatura possa rappresentare un impedimento a qualsiasi processo di riforma. Tra i sostenitori del Sì prevalgono i pessimisti (58%), tra quelli del No i possibilisti (64%).
Insomma, a distanza di un anno dalla bocciatura della «madre di tutte le riforme», tra gli elettori non affiora alcun ripensamento: il risultato oggi sarebbe la fotocopia di quello dello scorso 4 dicembre. Al contrario affiorano molti dubbi su chi in futuro potrebbe avere il coraggio di mettere mano a una nuova riforma costituzionale, sfidando la diffusa refrattarietà ai cambiamenti e il tifo da stadio