Corriere 27.11.17
«Merito le botte, è colpa mia» Gli ultimi messaggi di Emily
Picchiata dal fidanzato, si è uccisa. I suoi sms affissi nei campus
di Paola De Carolis
LONDRA
«Me lo merito. È colpa mia. L’ho fatto arrabbiare». È il triste
paradosso delle vittime della violenza domestica: la sensazione che le
percosse siano dovute a una loro mancanza, che la responsabilità sia
loro e non di chi le picchia. In questo caso, le parole sono
particolarmente strazianti perché appartengono a una diciottenne, Emily
Drouet, che di fronte all’incapacità di gestire la relazione e gli abusi
si è tolta la vita.
Da questa settimana i pensieri che Emily
affidò alle amiche con sms e email poco prima del suicidio sono
riprodotte su poster che campeggiano nell’università di Aberdeen, che la
ragazza frequentava, ed altri atenei scozzesi: una campagna
d’informazione voluta dalla madre di Emily, Fiona Drouet, affinché la
scomparsa della figlia possa in qualche modo aiutare altre giovani donne
a capire che «la violenza non è mai giustificabile, che non sono sole,
che una via d’uscita c’è».
Come per tante sue coetanee, l’inizio
degli studi di legge all’università rappresentava per Emily non solo una
nuova avventura, ma anche il primo allontanamento dalla famiglia. Aveva
subito notato Angus Milligan: uno studente di psicologia di qualche
anno più grande, bravo negli sport, bello, sicuro di sé. Sembrava il
ragazzo ideale. Dietro l’aspetto suadente, si celava una personalità
violenta, che era emersa in fretta. Se alla madre mandava foto allegre
di lei in cucina che preparava da mangiare per gli amici, Emily in
privato era in suo pugno: Angus la prendeva a schiaffi, le sferzava
calci, le stringeva il collo.
Le amiche oggi non si danno pace.
All’epoca dei fatti, lo scorso marzo, non avevano però saputo reagire
con decisione ai messaggi di Emily. «Tesoro, non te lo meriti, non stare
da sola con lui, denuncialo alla polizia», le aveva scritto una. «Sì,
invece, me lo merito» aveva risposto Emily. Per la madre, leggere gli
scambi sul telefono della figlia è stato «sconcertante». Ha chiesto lei
che fossero pubblicati e diffusi tra gli studenti. «Emily era una
ragazza piena di vita, equilibrata, sempre di buon umore. Che si sia
ridotta a credere di essere responsabile delle violenze fisiche e
psicologiche che ha sofferto mostra l’insidiosa e pericolosissima
dinamica di queste relazioni».
Ancora oggi, a un anno e mezzo
dalla perdita della figlia, Fiona, il marito e i fratelli di Emily
vivono la tragedia del lutto. «Non ci siamo ripresi, non credo che
riusciremo mai a superare completamente ciò che è successo». A
torturarli sono i se: cosa sarebbe successo se le amiche di Emily
avessero avuto la prontezza di intervenire? Cosa sarebbe avvenuto se il
consulente per gli studenti ai quali Emily si era rivolta avesse capito
che dietro le mezze parole della ragazza c’era una truce realtà? «Uno
dei miei obiettivi — ha sottolineato la signora Drouet — è che ci sia un
minimo di addestramento per questi consulenti, spesso giovani e
inesperti quasi quanto gli studenti che dovrebbero aiutare». Al momento,
precisa, non c’è una procedura chiara, non ci sono fattori
identificabili che fanno scattare l’allarme. Milligan, che si è
dichiarato colpevole di aver picchiato Emily e averle mandato messaggi
oltraggiosi ma non della sua morte, è stato condannato a 180 ore di
servizi comunitari.