Corriere 27.11.17
l’analisi rischio PREVIDENZA
Pensioni, uno squilibrio di 88 miliardi
di Federico Fubini
La tenuta del sistema è garantita da tasse e deficit, necessari a colmare il disavanzo lasciato da contributi insufficienti
Quella
frase l’abbiamo sentita così tante volte che a questo punto la cosa più
semplice sarebbe crederci. «Il sistema è in equilibrio», dopotutto,
suona bene. Verrebbe voglia di affidarsi a quella certezza, specie se
applicata alle pensioni pubbliche in Italia. Resistere alla logica di
una verità tanto semplice del resto diventa faticoso, soprattutto quando
viene ripetuta da chi ha un accesso diretto alle informazioni e dunque
sicuramente sa.
Gli esempi non mancano. Il due febbraio scorso
Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, ha assicurato: «Il sistema
previdenziale italiano è sostenibile nel lungo periodo ed è in
equilibrio». Il 15 febbraio lo stesso Poletti si è spinto un passo più
in là: «Il settore previdenziale è in attivo». In estate ha ripetuto
quasi esattamente le stesse parole Susanna Camusso, segretaria generale
della Cgil: «Il sistema è in equilibrio, il problema semmai è
l’evasione». Se questa è la realtà, era prevedibile che la tentazione
della generosità si facesse largo al cuore della maggioranza. Ecco l’11
ottobre Cesare Damiano, deputato del Pd, presidente della commissione
Lavoro alla Camera, già predecessore di Poletti: «Il tema previdenziale
deve entrare nella manovra» perché «va spostata a giugno 2018 la
decisione circa l’innalzamento dell’età previdenziale».
Più che
discutere se una (anche limitata) contro-riforma delle pensioni abbia
senso, sarebbe però il caso di chiedersi se il presupposto è vero. Il
sistema è davvero «in equilibrio»?
Una risposta viene da un
documento del quale il governo italiano è co-autore: «Il rapporto
sull’invecchiamento» che la Commissione Ue pubblica a intervalli
regolari; l’ultimo, del 2015, copre i costi delle pensioni e le
proiezioni dal 2013 al 2060. Il ministero dell’Economia di Roma lo ha
sottoscritto partecipando al gruppo di lavoro ad hoc.
Ecco
l’«equilibrio» del sistema pensionistico in Italia che emerge da quel
rapporto: ogni anno, la spesa per le pensioni pubbliche supera i
contributi versati di 88 miliardi di euro. Si tratta dello scarto più
vasto dell’Unione Europea dopo quello dell’Austria, come mostra il
grafico in pagina. La differenza fra quanto lo Stato riceve in
contributi previdenziali e quanto versa in pensioni viene colmata grazie
alle tasse e al deficit pubblico. In altri termini, se l’Italia fosse
allineata alle medie europee il bilancio pubblico sarebbe in attivo e il
debito in calo da anni. I tassi d’interesse per le imprese sarebbero
più bassi e probabilmente il Paese non sarebbe stato travolto dalla
crisi del debito.
È possibile che i politici in Italia vedano un
«equilibrio» scomputando le pensioni d’invalidità e le tasse sul reddito
dei pensionati. Ma le stime europee, che mostrano un ritardo enorme per
l’Italia, sono trattate in modo omogeneo per tutti i Paesi. È anche
possibile che la promessa di «equilibrio» si riferisca al futuro e anche
su questo il rapporto della Commissione Ue contiene informazioni.
L’Italia oggi è il Paese dove le pensioni costano di più in Europa
(15,7% del reddito nazionale), è fra quelli dove nei fatti si va in
pensione prima (62,4 anni) ma è fra quelli che segnano il maggiore calo
di spesa entro il 2060 (meno 1,9%). Neanche a quel punto però il sistema
sarebbe «in equilibrio»: dopo la riforma Fornero oggi in vigore, lo
scarto fra contributi versati e pensioni da pagare nel 2060 sarebbe pari
al 3,2% del reddito nazionale, 54 miliardi di euro attuali.
L’ammanco
contributivo potrebbe però diventare più grande di così, perché le
proiezioni adottate a Bruxelles purtroppo potrebbero rivelarsi
ottimistiche per l’Italia: prevedono che ogni donna passi dal partorire
in media 1,43 figli a 1,61 (ma dal 2013 il tasso di fertilità è sceso a
1,34); e immaginano che l’immigrazione contribuisca a un aumento di
popolazione da 60,3 milioni di abitanti nel 2013 a 67 milioni nel 2040
(ma da due anni il numero di residenti in Italia è in calo).
Se
questo è equilibrio, non c’è bisogno di troll russi. A mettere in
circolazione fake news in Italia ci pensa chi dovrebbe governarla.