Corriere 27.11.17
La condanna per il professore che ha umiliato l’alunna disabile
di Luigi Ferrarella
Improbabile
che l’inse-gnante di musica di una scuola media nell’hin-terland
milanese, se avesse trovato impreparato a lezio-ne un maschio anziché
una bambina di 11 anni che tentennava davanti alla richiesta di suonare
uno strumento a causa del braccio destro offesole da un tumore al
cervello, avrebbe irriso la sfera inti-ma dello scolaro così come invece
gli è parso normale apostrofare l’alunna: e cioè chiederle «se avesse
le mestruazioni», alla risposta positiva rampognarla che era «già una
donna fertile» e che se fosse stata sua figlia le avrebbe «dato un
calcio in c...», e infine indicarle come modello un’altra compagna di
classe in chemioterapia, «quello sì un problema serio». Una lezione che
il Tribunale di Milano — ritenendola ben lungi dal fine educativo che
invece il professore al pro-cesso ha poi persino difeso e rivendicato
come «una sorta di educazione alla cittadinanza per tutta la classe» in
riferimento «alla maternità della Madre di Gesù» — ha inquadrato in una
condanna di primo grado a 2 mesi per il reato di «abuso dei mezzi di
correzione», e a 5.000 euro di risarcimento danni alla ragazzina che
uscì piangen-do dall’aula e per qualche tempo ebbe bisogno di «un
intensificarsi del sostegno psicologico» già assicura-tole dalla scuola a
motivo della sua malattia e del suo essere anche orfana di padre. Nella
sentenza la giudice Anna Maria Zama-gni, a proposito delle paro-le del
docente «volgari ed espressive di una partico-lare aggressività nei
confronti della ragazza», «gratuite e non certo neces-sarie all’interno
del discor-so educativo che il profes-sore ha spiegato voleva proporre
ai discenti perché comprendessero il disvalo-re del non essere
prepara-ti», scrive che la condizione di disabilità della ragazza
«andava accolta e non schernita, a prescindere dal motivo che aveva
determi-nato il richiamo, e in ogni caso non rivelata a tutti, da un
lato palesandola all’inte-ra classe e dall’altro smi-nuendola quasi
fosse una scusa utilizzata per giustifi-care la propria
imprepara-zione», tanto più «in una età nella quale i ragazzi hanno il
bisogno di essere accettati». Singolare, infi-ne, il fatto che il
processo e la condanna a 2 mesi (pena sospesa per le scuse poi fatte
alla bambina) non ci sarebbero mai stati se il professore, censurato in
via disciplinare dalla scuola, avesse accettato, invece di impugnarla in
giudizio, l’iniziale sanzione pecuniaria di 3.750 euro.