Corriere 25.11.17
Il Vaticano cauto sui segnali (ancora ambigui) della Cina al Papa
di Massimo Franco
Papa
Francesco sarebbe «ansioso» di andare in Cina. Il Vaticano studia
l’ultimo congresso del Partito comunista per intravedere segnali di
apertura.
In Vaticano hanno cominciato a studiare la lunga
relazione letta all’ultimo congresso del Partito comunista cinese dal
presidente Xi Jinping. Si cerca di capire se contenga segnali di
apertura; se alla presa ferrea sui gangli del potere da parte del «nuovo
Mao» corrisponderà anche una maggiore apertura in materia di diritti
umani e di libertà religiosa. Per il momento, l’evoluzione della Cina su
questi temi «rimane un’incognita. Questo grande Paese continua a essere
difficile da capire». Il giudizio è cauto, tipico di una diplomazia
pontificia che analizza i segnali espliciti ma anche le mille sfumature
di una relazione comunque tormentata. La Città Proibita di Pechino si
aprirà a marzo a 40 opere cinesi conservate nei Musei vaticani: una
«diplomazia dell’arte» che tende giustamente a sottolineare il
miglioramento dei rapporti. E altrettante opere cinesi saranno esposte
in uno spazio dei musei del Papa.
L’impressione, però, è che la
strada per una riconciliazione tra la Chiesa di Francesco e la seconda
potenza economica mondiale sarà ancora lunga. Sul dialogo con
quell’immensa nazione asiatica, Jorge Mario Bergoglio sta investendo
molto da quando è stato eletto. Il desiderio di visitare la Cina, e in
prospettiva di stabilire relazioni diplomatiche, non è un mistero. E nel
viaggio che comincia domani e lo porterà in Myanmar e Bangladesh, sullo
sfondo rimarranno necessariamente i due giganti asiatici: l’India, che
potrebbe visitare nel 2018, e appunto la Cina. A fine ottobre, ricevendo
trenta religiosi cinesi, Francesco li ha congedati dicendo: «Verrò
presto da voi a restituire la vostra graditissima visita». È un «presto»
da leggere con i tempi lunghi delle strategie vaticane e cinesi.
D’altronde, quando un anno fa è stato intervistato da Asia Times ,
Francesco ha usato parole di estrema apertura alla Cina. E ha ammesso
che si sta parlando, lentamente: le cose lente vanno bene, quelle in
fretta no.
È una lentezza più marcata da parte cinese, con segnali
tuttora non univoci. Ultimamente si teme perfino un irrigidimento verso
la cosiddetta «Chiesa cattolica clandestina»: quella non riconosciuta
dal governo di Pechino, che nomina i vescovi della «Chiesa patriottica»
senza concordarli con il Vaticano. Rimane uno dei punti di maggior
tensione, sul quale si sta cercando da anni un compromesso. Qualche
giorno fa, in un dibattito alla Civiltà cattolica , la rivista dei
gesuiti, padre Federico Lombardi, oggi presidente della Fondazione
Ratzinger, ha insistito sulla possibilità di una Chiesa «pienamente
cinese e pienamente cattolica». Ha passato in rassegna le ragioni, tutte
fondate, per le quali l’attenzione di Francesco «è ricambiata in Cina»:
anche perché Bergoglio «non è un europeo. Non appartiene a quel
continente di popoli colonizzatori che, soprattutto nel XIX e XX secolo,
hanno fatto sentire alla Cina la potenza militare e il peso dei loro
interessi economici. Né è stato coinvolto direttamente nel confronto con
l’ideologia comunista e i regimi che vi si ispiravano».
Non è
chiaro se questo basti a capovolgere in tempi brevi una strategia cinese
nella quale l’incontro con la Santa Sede non sembra in cima alle
priorità. Da quanto filtra in Vaticano, nel recente passato si è tentato
di sondare l’entourage di Xi Jinping per capire se fosse possibile un
incontro tra Francesco e il presidente, magari in un luogo neutro. Ma la
sensazione è stata che dal versante cinese non arrivassero segnali di
una vera volontà a organizzarlo. E quando i 30 sacerdoti andati dal Papa
a fine ottobre sono stati ricevuti dal segretario di Stato vaticano,
Pietro Parolin, è stato chiesto loro di trasmettere «ai cattolici loro
conterranei che la Santa Sede sta lavorando per il bene della Chiesa tra
gli eredi del Celeste Impero, al fine di garantire spazi di libertà
finora non goduta». Dalla creazione dell’Associazione Patriottica, longa
manus del regime di Pechino, nel 1957, le divisioni sono state
profonde. Negli ultimi anni sono stati fatti sforzi vistosi per
superarle: una politica di mediazione e di compromesso che ha attirato
le critiche di alcuni cardinali conservatori nei confronti dello stesso
pontefice e di Parolin.
Ma i risultati sono stati in chiaroscuro.
Tra l’altro, l’agenzia cattolica AsiaNews il 22 novembre ha dato la
notizia che il Partito comunista cinese tenta di bloccare il turismo dei
connazionali in Vaticano. Il Pcc «ha dato indicazioni perché nessuna
agenzia di viaggio del Paese mandi gruppi di turisti a visitare il
Vaticano o la basilica di San Pietro perché “non ci sono relazioni
diplomatiche” tra Cina e Santa Sede». Qualunque agenzia turistica cinese
che faccia pubblicità a queste destinazioni nelle sue pubblicazioni
«sarà colpito da multe fino a 300 mila yuan (oltre 39 mila euro)», ha
scritto il direttore, padre Bernardo Cervellera. È probabile che il
divieto sarà aggirato in qualche maniera. Ma il segnale viene ritenuto
preoccupante, e comunque in contraddizione con il processo di
distensione che si è aperto.
Come condizione per il dialogo, la
Cina continua a chiedere la rottura delle relazioni diplomatiche con
Taiwan e di non interferire negli affari interni. La doppia mostra di
marzo inaugura una «diplomazia dell’arte» che dovrebbe attenuare le
diffidenze. Il Vaticano la usò anche nel 1892 con gli Stati Uniti,
mandando dei mosaici del XVI secolo all’Esposizione colombiana di
Chicago per ricucire rapporti, all’epoca tesi per lo scontro tra
cattolici e protestanti. Il disgelo ci fu. Ma per stabilire piene
relazioni diplomatiche tra Usa e Vaticano fu necessario arrivare al
1984.