Corriere 22.11.17
Antisemitismo in Francia
Il grande esodo degli ebrei di Parigi «Aggrediti e costretti ad andare via»
di Stefano Montefiori
Minacce
e violenze nelle periferie a maggioranza araba. Dei 350 mila residenti,
60 mila si sono rifugiati altrove. Alcuni in Israele. Molti si stanno
trasferendo in un unico quartiere della capitale, accanto alla sinagoga
in costruzione. Il rischio di un nuovo ghetto
Poco lontano dal
celebre ristorante kasher tunisino Nini e dallo Schwartz’s Deli di
ispirazione newyorchese, sta nascendo in rue de Courcelles il grande
«Centro europeo dell’ebraismo», uno spazio di 5000 metri quadrati che
ospiterà una sinagoga da 600 posti e sale per spettacoli ed esposizioni.
Il centro aprirà entro la Pasqua ebraica e sancisce il ruolo del XVII
arrondissement di Parigi, nel nordovest della capitale, come nuovo cuore
dell’ebraismo francese ed europeo accanto all’antica presenza nel
Marais. Dei 350 mila ebrei della regione parigina, circa 60 mila negli
ultimi anni hanno traslocato. Molti hanno abbandonato i quartieri più
difficili delle periferie per trasferirsi nella nuova «piccola
Gerusalemme» del XVII ème , o nel triangolo d’oro Le
Raincy-Villemomble-Gagny appena fuori la capitale.
Un esodo
interno discreto, qualche volta segno di successo e ascensione sociale,
più spesso provocato dagli atti di antisemitismo che a Saint Denis,
Bondy, La Courneuve, Sarcelles, Stains e altri comuni del Grand Paris
sono cominciati con la seconda Intifada dei primi anni Duemila e si sono
intensificati dopo le stragi di Merah a Tolosa e gli attentati
islamisti a Parigi.
Tanti ebrei francesi spinti dall’insicurezza
hanno fatto la loro aliya e sono andati a vivere in Israele: nel 2015
sono stati oltre 8000, i più numerosi al mondo per il secondo anno
consecutivo. Molti altri che continuano a considerare la Francia come il
loro Paese scelgono di cambiare zona e di vivere raggruppati.
La
vitalità ebraica del XVIIesimo e di altri quartieri è frutto anche di
una realtà drammatica: violenze e aggressioni costringono gli ebrei
francesi a vivere sempre più tra di loro, per proteggersi, 500 anni dopo
la nascita a Venezia del primo ghetto al mondo.
«Siete ebrei
quindi siete ricchi», ripetevano i tre aggressori che l’8 settembre sono
entrati nella casa della famiglia Pinto a Livry-Gargan, nel
dipartimento Seine-Saint-Denis, quel «93» simbolo suo malgrado della
banlieue degradata. «Avrebbero potuto derubarci mentre non c’eravamo,
perché abbiamo passato l’estate fuori Parigi — dice Roger Pinto, 78
anni, al telefono da Israele —. Invece sono arrivati proprio il giorno
dopo il nostro rientro. Mi hanno buttato per terra prendendomi a calci
fino a farmi svenire, gridavano ”se non ci date i soldi vi ammazziamo,
lo sappiamo che li avete, ebrei”». Roger, la moglie Mireille e il figlio
David forse si trasferiranno nel XVIIesimo, «ma resteremo in Francia —
dice Pinto, presidente dell’associazione Siona —. Sono in terapia dallo
psicologo, appena starò meglio rientreremo. Il governo francese deve
garantire la nostra sicurezza».
Dopo che il terrorista islamico
Amedy Coulibaly il 9 gennaio 2015 scelse il supermercato kasher di
Vincennes per uccidere quattro ebrei, «la protezione è aumentata e gli
attacchi contro le sinagoghe, le scuole e i centri culturali sono
diminuiti», dice Sammy Ghozlan, un commissario di polizia in pensione a
capo del Bnvca ( Bureau national de vigilance contre l’antisémitisme ).
«L’operazione Sentinelle con i militari di pattuglia funziona per i
luoghi pubblici, ma le violenze hanno cambiato bersaglio e ora
colpiscono i privati cittadini, soprattutto in certe parti del
dipartimento Seine-Saint-Denis, dove il radicalismo islamico è più
forte».
La mattina del 13 maggio 2017, poco dopo le 7, la signora
Françoise (il nome è stato cambiato su sua richiesta) è scesa di casa
con la figlia a Romainville. In un caffè di Les Lilas, il comune poco
lontano dove abita adesso, mostra alcune fotografie. «Sulla portiera
della mia Opel c’erano strisce bianche, per istinto ho provato a
toglierle con la mano ma mia figlia se ne è accorta subito: “Mamma, è
una scritta”». La grande parola «Juif», ebreo, incisa sulla fiancata.
Con l’auto così marchiata Françoise ha comunque percorso la tangenziale
per andare a lavorare, tra i colpi di clacson degli altri automobilisti.
«Appena due mesi prima eravamo stati rapinati in casa mentre
dormivamo». Cinquant’anni, un marito e tre figli, la signora lavora come
hostess di accoglienza negli studi tv. «È stata la polizia a dirci di
traslocare: “Vi hanno preso di mira, fareste meglio ad andarvene”». Al
collo Françoise porta una stella di David, «ma quando prendo la
metropolitana ormai la nascondo».
Gli atti di delinquenza comune e
le liti di vicinato si mescolano all’antisemitismo. Geneviève (nome
cambiato), sefardita, arrivata quarant’anni fa dal Marocco, a
La-Celle-Saint-Cloud fa amicizia con la vicina algerina finché un giorno
si sente dire «eppure assomigli a una ebrea». «Da allora mi perseguita,
mi lancia cose dal terrazzo, lei e il figlio mi chiamano ”sporca
ebrea”, danno colpi alla porta per spaventarmi». Geneviève teme di fare
la fine di Sarah Halimi, ebrea 65enne, che il 4 aprile a Belleville è
stata aggredita in casa dal vicino passato per il terrazzo. Sarah è
stata picchiata per un’ora al grido di «Allah Akhbar», poi gettata dal
terzo piano. «Ho ucciso sheitan ! (il diavolo in arabo, ndr )», gridava
Kobili Traoré prima di essere internato.
Davanti alla stazione di
Le Raincy incontriamo Alain Benhamou, ingegnere in pensione del gruppo
Italcementi, che ha vissuto per 41 anni con la moglie a Bondy. Hanno
aggredito sua figlia a scuola insultandola perché ebrea. Ha finito per
trasferirsi a Villemomble dopo essere stato rapinato e avere dormito per
giorni con una mazza da baseball accanto al letto. «Con il rossetto di
mia moglie hanno scritto sul muro ”Sporco ebreo, viva la Palestina”. A
Bondy eravamo 400 famiglie ebree, ne restano 100».
«Le sinagoghe
chiudono, gli ebrei hanno paura di prendersi sputi e sassate e
rinunciano a mettersi la kippa», dice Ghozlan. Solo un terzo degli ebrei
francesi ormai mandano i figli alla scuola pubblica, preferiscono gli
istituti ebraici o cattolici dove non subiscono intimidazioni. Accanto
al sogno giusto e un po’ retorico del «vivere insieme», crescono
l’antisemitismo e il rischio che la società francese si divida in
comunità a sviluppo separato.