Corriere 22.11.17
Heidegger sui sentieri interrotti
Nella sua concezione la storia non progredisce in modo lineare ma è scandita da eventi
Filosofia
Esce in italiano per Mimesis, a cura di Giusi Strummiello, un trattato
del famoso pensatore tedesco risalente al cruciale biennio 1941-42
di Donatella Di Cesare
Mentre
si continua a discutere, con toni accesi, intorno al ruolo che Martin
Heidegger svolge nella filosofia contemporanea, esce in italiano, presso
la casa editrice Mimesis, il suo grande trattato L’evento . Pubblicato
in tedesco solo nel 2009, il volume, di oltre trecento pagine —
corrispondente al numero 71 delle Opere complete —, fa parte della serie
di sette trattati esoterici, inaugurata dai Contributi alla filosofia
(Dall’evento) , editi in Italia da Adelphi. Lo scenario è quello della
storia dell’essere; l’interrogativo riguarda l’inizio. Tutto ruota
intorno all’«evento». Si intuisce allora l’importanza decisiva di questo
trattato che, insieme agli altri numerosissimi inediti, era stato
affidato dallo stesso Heidegger all’Archivio di Marbach am Neckar.
La
copia manoscritta porta la data «1941-42». Sono gli anni della Seconda
guerra mondiale, quelli in cui la Germania nazista tocca il culmine
della vittoria e, sferrando l’attacco alla Russia bolscevica, si prepara
al dominio del pianeta. Ma sono anche gli anni in cui d’improvviso
tutto può finire nel nulla: la vittoria può mutarsi in sconfitta,
l’apice può diventare abisso.
Dal suo angolo di visuale Heidegger
scruta la possibilità di un altro inizio. Occorre essere avvertiti e non
lasciarsi sfuggire i cenni con cui si preannuncia la nuova era tanto
attesa. E, d’altronde, la filosofia non è forse anzitutto attesa? Il
rischio sarebbe quello di forzare i tempi, di voler uscire da un’epoca,
là dove non vi è uscita, di predisporre, programmare, pianificare. Così
verrebbe meno ogni possibilità di interrogarsi e meditare.
Filosofo
profondamente storico, tanto contrario alla storiografia erudita e allo
storicismo asfittico, quanto attento all’andamento imprevedibile della
storia, segnato com’è da svolte repentine, pieghe imponderabili, vie
tortuose, Heidegger si chiede che cosa sia un «evento», un Ereignis .
Perché la storia non è una marcia trionfale verso il progresso, come
viene superficialmente vista nella modernità. Piuttosto è scandita da
eventi.
Di volta in volta unico, l’evento si sottrae a ogni
dominio e a ogni volontà di definizione. L’evento è ciò che avviene, ciò
che accade. Occorre, dunque, vedere finalmente la storia non secondo un
disegno globale, bensì come un accadere di eventi, che non sono
controllabili a piacimento — al contrario di quel che il progresso
tecnico lascia intendere. Di più: proprio perché l’evento scandisce la
storia, dischiude un’epoca, siamo noi, nella nostra esistenza storica e
finita, ad appartenere all’evento. Perciò l’evento appropria e insieme
espropria. Compito della filosofia è pensare l’evento nella sua
irriducibile originarietà — e pensarsi dall’evento, cioè come un
pensiero che proviene e si dispiega in un orizzonte storico. Non
stupisce, dunque, che nella celebre Lettera sull’«umanismo» (Adelphi) ,
pubblicata nell’immediato dopoguerra, Heidegger scriva: «Dal 1936
“evento” è la parola guida del mio pensiero».
Con toni evocativi,
accenti quasi oracolari, uno stile che, fra slanci, inversioni,
approfondimenti, si affida a un ritmo rapsodico e segue un percorso
capace di aggirare ogni principio, Heidegger guarda all’evento che
potrebbe segnare il passaggio dall’evo metafisico a un nuovo inizio
della storia. Riprende e sviluppa i temi chiave della sua filosofia.
Pagine significative sono dedicate alla verità, al nesso tra pensare e
poetare, alla questione della differenza.
Sferzante è inoltre la
critica alla modernità, che in tedesco si chiama Neuzeit , quell’epoca
che si spaccia per essere nuova, neue Zeit , e che invece, pur essendo
«avida di nuovo», non fa che ripetere il passato potenziandolo. Ecco ciò
che è tragico: ogni evento viene cancellato sul nascere. Nella
modernità una lettura «non-storica della storia» fa tutt’uno con la
pianificazione del calcolo e con quell’eccesso della tecnica che si
manifesta nella «eccedenza dei dispositivi del volere e nella
sovrabbondanza degli armamenti».
Come nei Quaderni neri , scritti
nello stesso periodo, anche nel trattato L’evento il paesaggio in cui si
muove Heidegger è quello della sera e dell’attesa serale, quando il
tramonto si compie, si spengono gli ultimi lumi, la notte incombe. No,
nessun timore per la notte. Perché la notte è «la madre del giorno» e
solo in quel tempo di oscurità — che la tecnica non tollera, illuminando
e accecando 24 ore su 24 — si possono intravvedere i primi bagliori, la
fiamma del nuovo inizio. L’Occidente non trapassa, non muore — come
vorrebbero alcuni. Piuttosto l’Occidente è «il futuro della storia»,
purché sia in grado di interpretare la sua storia a partire dall’evento.
Ma
nelle ultime pagine il passaggio diventa «divergenza». Così, in un
suggestivo ed enigmatico paragrafo, Heidegger celebra i sentieri
interrotti, quei percorsi che si addentrano nel fitto del bosco e che si
fermano d’un tratto, coperti dalla vegetazione o sbarrati dai tronchi
dimenticati dai taglialegna. «Queste vie sono sinistre. La divergenza è
sempre su un sentiero interrotto». Divergenza filosofica? O si dovrebbe
anche supporre una divergenza politica dal nazionalsocialismo che si è
consegnato alla storiografia della modernità pretendendo di essere il
culmine della tecnica. Dal canto suo Heidegger si prepara a fermarsi, a
soggiornare sul sentiero dimenticato e interrotto, dove «non “si” va più
avanti e non c’è alcun progresso». E si dispone soprattutto a sostenere
il peso della divergenza.
Che significhi rivoluzione, svolta
epocale o un altro inizio, «evento» è ormai parola chiave della
filosofia contemporanea, senza la quale sarebbe inimmaginabile il
dibattito degli ultimi anni. Nel pro e nel contro la complessa
riflessione di Martin Heidegger resta però ancora da pensare nei suoi
profondi risvolti, nelle inattese ripercussioni, nei molteplici effetti.