sabato 18 novembre 2017

Corriere 18.11.17
L’appuntamento
Galilei e Merisi, stesso destino. Con papa Urbano VIII l’illusione
di una libertà antidogmatica
A Padova una mostra sullo scienziato mette al centro la costante ricerca della verità, che influenzò pure molti artisti. Ma poi, nella Roma del potere, trionfò l’Inquisizione
primavera bruciata
di Francesca Bonazzoli


Il 6 agosto 1623, dopo 37 scrutini, Maffeo Barberini fu eletto papa e divenne Urbano VIII. A Roma, la comunità che nel breve passaggio dal Cinquecento al Seicento stava forgiando il pensiero moderno in concomitanza con ciò che avveniva nelle cerchie artistiche e intellettuali d’Europa, si riscosse ed esultò. Era arrivato il momento sospirato per uscire dalla buia cappa della Controriforma con la sua ossessione per i dogmi, la persecuzione degli eretici, la censura dei testi non conformi alle linee stabilite dal Concilio di Trento.
Da giovane, Maffeo aveva condiviso le amicizie di coloro che si erano trovati sul confine dell’eresia, come il laico libertino Giulio Mancini, diventato suo medico personale dopo una carriera iniziata negli stessi anni di Caravaggio, di cui scrisse poi la biografia. Consumato libertino era anche il poeta Giambattista Marino, amico di Guidobaldo Del Monte, fratello del cardinale Francesco Maria, protettore del Caravaggio. Sempre da cardinale, Maffeo aveva chiamato a Roma Athanasius Kircher, offrendogli un insegnamento di scienze matematiche al Collegio Romano e aveva sostenuto Galileo e l’Accademia dei Lincei.
Insomma il giovane Barberini aveva incoraggiato proprio quell’élite antidogmatica che, divenuto papa, si preoccupò di stroncare. Con una virata a 360 gradi Urbano VIII consegnò nelle mani dell’Inquisizione Giambattista Marino e Galileo e impresse all’arte un nuovo stile che cancellò quello del Caravaggio, da cui si era fatto ritrarre più volte.
Trent’anni prima, la Roma di Clemente VIII, eletto nel 1592, era stata scenario di oltre una trentina di roghi, compreso quello di Giordano Bruno. Nella città dove il papa era impegnato a debellare sodomia, prostituzione, gioco delle carte e dei dadi (proprio gli stessi soggetti dei quadri con cui esordì Caravaggio), era pericoloso pensare e parlare. Eppure il cardinale Francesco Maria Del Monte, diplomatico consumato che esercitava in sommo grado l’arte della discrezione, riuscì ad allestire una distilleria alchemica e fu il primo a possedere il nuovo telescopio dell’amico Galileo di cui prese le difese durante i guai con l’Inquisizione. Lo scienziato era spesso in visita nel suo palazzo Madama proprio quando vi dimorava Caravaggio il quale, riportano le carte giudiziarie, in una notte del 1598 fu arrestato e perquisito: «portava la spada senza licentia, et un paro de compassi», forse quelli che Galileo stava mettendo a punto con Guidobaldo Del Monte, matematico e fisico, che assieme al fratello Francesco Maria aveva ottenuto una cattedra per Galileo. Caravaggio entrava a pieno titolo in questa compagnia che privilegiava la conoscenza empirica alle prescrizioni del cardinale Paleotti sulle immagini, indicate come strumento di virtuosa edificazione.
Negli anni i cui pittori si esercitavano a copiare santi che alzavano languidi gli occhi al cielo prima di venire martirizzati in pose aggraziate, Caravaggio dipingeva dal vivo la prostituta Lena seguendo, come diceva Galileo per le sue osservazioni dei cieli, «quello che l’esperienza e il senso ci dimostra». Anche lo scienziato detestava l’artificiosità del Manierismo allora in voga, le allegorie, le fiabe, l’anatomia così idealizzata da stravolgere i corpi in allungamenti tanto estenuati quanto fasulli.
Quella cerchia dove gli interessi per la musica, la matematica, la fisica e l’arte facevano un tutt’uno, voleva ribaltare la dittatura del dogma con la forza della verità. Con l’elezione del Barberini sembrò che la rivoluzione potesse compiersi.
E invece, già all’inizio dei Trenta del Seicento, tutto era cambiato e anche la scena artistica appariva irriconoscibile. Trionfava la nuova era della propaganda, e questa volta legava intimamente la religione al potere temporale. Il cardinale che si era fatto ritrarre da Caravaggio era diventato il papa promotore del Barocco. Ogni indizio di verità fu cancellato dall’arte che da allora divenne sinonimo di finzione, spettacolo che stordisce e inganna i sensi, come il baldacchino commissionato al Bernini. Nel volgere di pochi decenni Roma si era trasformata nella capitale dell’immaginazione. La breve stagione della realtà e della scienza migrava nel Nord Europa.