Corriere 15.11.17
Lo smarcamento dei presidenti rischia di aprire un nuovo fronte
di Massimo Franco
La
polemica era in incubazione da giorni. E il fatto che a sollevarla sia
un esponente del Pd critico con la segreteria come il ministro della
Giustizia, Andrea Orlando, le conferisce contorni in chiaroscuro. Ma
ammonire che «il passaggio all’opposizione di tutti e due i presidenti
delle Camere ha come effetto collaterale il rischio di una distorsione
di equilibri istituzionali» suona come segnale d’allarme. Che la seconda
e terza carica dello Stato si dissocino dalla maggioranza che li ha
eletti, ricorda, non ha precedenti. Ma lo smarcamento di Piero Grasso e
Laura Boldrini non è «solo responsabilità loro ma anche conseguenza di
un vuoto di proposta politica».
Le parole del ministro sono
affidate a Radio radicale . E seguono il suo intervento alla direzione
del Pd di lunedì, dove aveva definito la scelta di Boldrini come
un’anomalia «mostruosa». In quella riunione, Orlando si è astenuto sul
documento finale. Anche perché il ministro accusa il vertice dem di non
avere fatto abbastanza nemmeno per «aiutare» l’ex sindaco di Milano,
Giuliano Pisapia, in bilico tra Pd e Mdp. Il rischio di un incidente
istituzionale ha indotto in serata il ministro a correggere il tiro,
assicurando di non avere voluto attaccare Grasso e Boldrini. Ma la loro
adesione a una formazione decisa a contrastare i dem crea diversi
malumori.
Il Pd può avere sottovalutato l’isolamento che
soprattutto il presidente del Senato ha percepito. Il referendum del 4
dicembre 2016 che aveva tra i suoi obiettivi l’abolizione della «Camera
alta», di certo non ha aiutato. Ma la tempesta è in arrivo e Mdp cerca
di prevenirla, assicurando «la terzietà» dei presidenti. «L’attacco è
appena cominciato», avverte il capogruppo alla Camera, La Forgia.
«Questo sì, sarebbe qualcosa che indebolisce l’autorevolezza delle
Istituzioni». La conferma della frattura a sinistra finisce tuttavia per
mostrare responsabilità non del solo Renzi.
Il «troppo tardi» col
quale Pier Luigi Bersani ha risposto all’offerta di dialogo del Pd non
ha convinto tutti. E fa dire a un esponente storico come Emanuele
Macaluso che «il suo gruppo non vuole ricostruire il centrosinistra
perché giocano tutto, anche con Grasso, per sconfiggere Renzi». Per
questo, la mediazione affidata dai dem a Piero Fassino per ricucire i
rapporti è quasi disperata. E la confusione aumenta. Da una parte,
sembrava che con la scissione di Mdp, il Pd finalmente potesse esprimere
la strategia del partito-perno.
Ora, invece, appare intenzionato a
trovare un compromesso con i suoi ex compagni, per paura di regalare la
vittoria al centrodestra o addirittura al M5S. Il portavoce di Renzi,
Matteo Richetti, garantisce «un cambio vero di strategia, non di
tattica, anche se non è nelle corde del segretario. Il Pd da solo non
vince». Ma il dialogo si apre con una diffidenza reciproca palpabile. E
la reprimenda sui conti pubblici italiani in arrivo dalla Commissione
europea, proprio mentre il partito renziano vanta i risultati economici
del governo, non contribuirà a dissolverla.