Corriere 14.11.17
Un dialogo impossibile che anticipa la resa dei conti
di Massimo Franco
Le
sinistre rimarranno divise almeno fino alle elezioni politiche. E forse
anche dopo. Il modo in cui il Pd ha rivendicato gli ultimi tre anni e
mezzo conferma la volontà di andare avanti come prima, sotto la guida di
Matteo Renzi. Dalla Direzione di ieri è arrivata solo la disponibilità
di principio ad allargare la coalizione di centrosinistra, «senza veti
né abiure». D’altronde, non poteva andare in modo diverso. Renzi non era
disposto a un’autocritica radicale, mentre l’area che si sta
compattando intorno al presidente del Senato, Pietro Grasso, voleva
qualcosa di simile.
Il risultato è una divergenza che prepara mesi
di scontro; e promette di acuire la tentazione dell’astensionismo a
sinistra. D’altronde, al vertice dem premeva compattare la nomenklatura e
non dare un’immagine di incertezza. Sotto questo aspetto, l’operazione è
riuscita. Voleva anche dimostrare di non chiudersi a riccio. E, almeno a
parole, il risultato Renzi lo ha ottenuto, viste le reazioni di
ministri come Dario Franceschini e governatori come Michele Emiliano,
guardati in precedenza come critici. È come se avesse comunicato ad
alleati e avversari: nessuna autocritica, partiamo da un bilancio
positivo.
È questo a rendere velleitario un dialogo già difficile.
Il punto di partenza reciproco è troppo distante. Le prossime elezioni
non serviranno dunque a misurare la consistenza di una sinistra unita.
Saranno invece l’occasione di una conta, con lo spettro
dell’opposizione: sebbene il Pd si senta ancora in grado di raggiungere
un terzo dei voti; e ritenga di farcela creando «liste d’appoggio» con i
centristi da una parte, e i radicali di Emma Bonino. È l’unico modo per
sperare che il sistema elettorale non gli si ritorca contro.
Renzi
vuole costruire un simulacro di coalizione con partiti che non abbiano
né la voglia né la forza di contestarlo. Il Pd non può subire una
lettura degli anni renziani che gli ricordi la sconfitta referendaria
del 4 dicembre; quelle alle elezioni locali degli ultimi due anni; e
alcuni provvedimenti del suo governo, che ora l’«altra sinistra»
considera sciagurati. Di fatto, significherebbe andare alle urne con una
leadership più delegittimata di quanto già non sia. La «porta aperta»
indicata a quanti se ne sono andati con la scissione, è di un partito
convinto tuttora di dare le carte.
Non è così da tempo, e il
ministro Andrea Orlando l’ha ricordato ruvidamente. Ma la debolezza
degli avversari è di avere assecondato a lungo l’attuale segreteria; e
di opporle un’identità che, almeno a guardare il voto in Sicilia, non ha
riportato i delusi ai seggi. La sconfitta accomuna e non divide le
sinistre: se la contendono renziani e antirenziani. Il pericolo della
rimozione non riguarda soltanto i dem ma anche chi li invita a
un’autocritica impossibile. Il Pd è Renzi, e l’assenza di voti contrari
ieri in Direzione lo conferma.