Corriere 14.11.17
Bersani chiude la porta: troppo tardi per l’intesa anche se Matteo non c’è
«I padri nobili? Alla buon’ora, spieghino le sconfitte pd»
di Monica Guerzoni
REGGIO
CALABRIA Nella sala stracolma del consiglio regionale, dove i militanti
tra loro si chiamano «compagno» dai tempi del Pci, Pier Luigi Bersani è
per tutti «il segretario». E quando finisce il suo intervento — un
fiume di no a Renzi contenuto in un foglietto piccolo piccolo — il
fondatore di Mdp ha ancora voglia di parlare: «I padri nobili? Non so se
sono abbastanza nobile anche io per dire la mia». Per Prodi l’Italia è
nel baratro, Veltroni invoca unità... «Sono benvenuti tutti gli appelli,
ma i padri nobili che li fanno, alla buon’ora, per favore rispondano a
questa domanda: come mai da tre anni il Pd le ha perse tutte? Non puoi
esorcizzarla pensando che alle elezioni succede un’altra cosa, no. È
colpa delle politiche sbagliate. Il centrosinistra è stato raso a zero
in tre anni, nella mia provincia avevamo piu Comuni ai tempi di Scelba».
Per
il leader di Mdp il nodo è questo. È che una coalizione con tutti
dentro, ma senza cambiare niente dei mille giorni di Renzi, sarebbe un
inganno: «Diciamo che il Jobs act va bene, che la legge elettorale va
bene? I nostri che si sono rifugiati nel bosco per non votare il Pd ne
verrebbero fuori col bastone». Ridono tutti, ma Bersani è serissimo: «Un
accordo nei collegi se Renzi si fa da parte? Non ne ho mai fatto una
questione di persone, il Pd sceglie il candidato premier che vuole, il
problema sono le politiche. Non si può continuare a dire che tutto va
bene, lasciando le disuguaglianze alla penetrazione delle destre. La
questione è questa, non i giochetti o i marchingegni elettorali. Se ci
ammucchiamo senza cambiare nulla, non ne trovano uno che va a votare
quella roba lì».
Tra Catanzaro e Reggio è venuto per accogliere in
Mdp 111 dem pentiti, tra amministratori locali e segretari di circolo.
Quanto a lui, non tornerà indietro: «Il tempo è finito, non c’è più modo
di cincischiare. Noi stiamo larghi, ma tiriamo dritto. Non vogliamo la
cosa rossa. Basta che non si sputi sul rosso, sennò mi inalbero». Avanti
senza centrosinistra, senza Pd? «Vorrei che ammettessero gli errori, ma
non credo. L’unità piace a tutti, però le chiacchiere stanno a zero,
servono i fatti. Noi vogliamo discutere col Pd renziano, purché si cambi
registro». Pisapia ha fatto un passo di lato? «Chiedete a lui, non
fatemi parlare sulle battute del tango. Noi andiamo avanti e se qualcuno
intende parlare con noi saremo contentissimi».
Le sue condizioni
per un (improbabile) accordo con il Pd, Bersani non si stanca di
ripeterle: «Lavoro stabile e ben retribuito, togliendo dal Jobs act un
po’ di quella robaccia che ha portato al record storico di precariato». E
poi welfare universalistico e un Fisco fedele e progressivo: «Togliete i
superticket, altro che coalizioni e fumisterie del cavolo». E ancora,
in bersanese: «Con 200 miliardi di evasione se ne potrebbero tirar su
una ventina, senza nemmeno far strillare le galline».
Disegna
un’Italia che non tiene il passo dell’Europa e spiega la crescita di
CasaPound con la resa del centrosinistra di fronte all’esclusione
sociale. Un altro dei suoi tormenti è la legge elettorale: «Non vorrei
darvi una pista da Sherlock Holmes, ma l’hanno fatta apposta per tirare
la volata alla destra». Renzi pensa ancora alle larghe intese con
Berlusconi? «Dimmi con chi la fai e ti dirò con chi vai. E hanno pure
sbagliato i calcoli, perché Verdini studia e i conti li sa fare, mentre
questi qua non studiano mica. Ecco la drammatica verità». Come finisce?
«Finisce che dobbiamo tenere viva la possibilità di richiamare una
sinistra di governo. Non si pensi che questa gente qui va a votare Pd.
No, si sono rotti e non è Bersani che può portarli lì». Nei collegi
ognuno per sé? «I collegi portano i voti al proporzionale e non so
quanto sia costituzionale. Quella legge è fatta per dare addosso a noi e
ai grillini». Finisce con un appello a una campagna «a mani nude»,
perché «non è il tempo di pettinar le bambole».