domenica 12 novembre 2017

Corriere 12.11.17
L’ultradestra xenofoba «ruba» la festa nazionale E divide la Polonia in tre
Raduno anti-immigrati nel giorno dell’indipendenza
di Maria Serena Natale

Nel giorno dell’unità, Varsavia si è divisa. Tre anime, stesse bandiere bianco-rosse. La Polonia delle istituzioni davanti al monumento al Milite ignoto. A poca distanza il corteo antifascista. Infine la marcia dell’ultradestra raccolta intorno allo slogan «Noi vogliamo Dio», richiamo a un’identità che fa perno su radici cristiane strumentalmente aggiornate in chiave anti-immigrazione. Novantanovesimo anniversario dell’indipendenza che nel 1918 segnò la rinascita della Repubblica: dopo le spartizioni tra Russia, Prussia e Impero Asburgico che per 123 anni l’avevano annientata, al termine della Grande guerra la Polonia ricompariva sulla mappa d’Europa sotto la guida del Maresciallo Józef Pilsudski, il Padre della patria erede della tradizione multiculturale dell’antica Confederazione polacco-lituana. Ieri, però, sono stati i nazionalisti a rubare la scena, regalando a questo 11 novembre la più forte partecipazione degli ultimi anni.
In 60 mila (stime della polizia) hanno sfilato in difesa della Polonia «baluardo» dell’Occidente cristiano, minacciata da presunte invasioni islamiche e liberismo selvaggio: un popolo eterogeneo che ha trovato una causa comune in quel «Vogliamo Dio» intonato dalla piazza il 2 giugno 1979, nella storica visita di Giovanni Paolo II. Parole citate ancora la scorsa estate dal presidente americano Donald Trump nel discorso di Varsavia, omaggio alla resistenza di una nazione che del cattolicesimo militante ha fatto un pilastro della lotta al comunismo.
Non era questo, tuttavia, lo spirito della piazza ieri. Accanto a cartelli «per un’Europa bianca di nazioni sorelle» si sono rivisti simboli dell’estrema destra xenofoba e antisemita degli anni Trenta. Slogan che avvicinano sempre più la galassia dell’estremismo europeo — alla marcia erano attesi rappresentanti di movimenti svedesi, slovacchi, ungheresi — e il suprematismo bianco della «destra alternativa» Usa.
Non aiuta a disinnescare l’aggressività crescente di questi gruppi il clima creato dal governo nazional-conservatore di Beata Szydlo, la premier «scelta» dal vero regista della politica di Varsavia, Jaroslaw Kaczynski. Un esecutivo entrato in conflitto diretto con le direttive di Bruxelles, a cominciare dal piano di redistribuzione dei richiedenti asilo. Ma deciso anche a ignorare gli ammonimenti su violazioni dello Stato di diritto come le recenti limitazioni all’autonomia della magistratura. «Dal 1918 non siamo stati sempre del tutto indipendenti», ha dichiarato ieri Kaczynski in riferimento all’occupazione nazista e alla dominazione sovietica. Richiami neanche troppo indiretti alle ragioni storiche della difesa a oltranza della sovranità nazionale.
Alla cerimonia istituzionale con il presidente Andrzej Duda, l’Europa era rappresentata dal capo del Consiglio Ue Donald Tusk, ex premier polacco e rivale di Kaczynski che lasciando Varsavia ha commentato: «Nessun politico in Polonia ha il monopolio del patriottismo».