Repubblica 9.10.17
Il Pd ha 10 anni ma ne dimostra molti di più
Con
Renzi alla guida c’è stato un netto calo nella partecipazione dei
votanti alle primarie La crescente personalizzazione ha segnato il
passaggio al PdR
di Ilvo Diamanti
IL PARTITO
democratico compie (quasi) dieci anni. Il 14 ottobre del 2007 si
svolgevano, infatti, le primarie per l’elezione dell’Assemblea
costituente. E del segretario. Le primarie rappresentano, dunque, il
“rito fondativo” del Pd, per citare la formula coniata da Arturo Parisi.
Insieme a Prodi, il sostenitore più determinato — e determinante — del
passaggio dall’Ulivo dei partiti al partito dell’Ulivo. Un soggetto
politico unitario del centrosinistra (senza trattino) capace di
aggregare i principali partiti che avevano accompagnato la storia della
Prima Repubblica: Dc e Pci. Per allargarne i confini. Da allora, molto
tempo è passato e molte cose sono cambiate. Mi limito a indicarne due.
La “scissione” recente delle componenti — e di alcuni leader — di
sinistra, che ne ha mutato l’identità originaria. E la progressiva
personalizzazione, che ha segnato il passaggio da Pd a PdR. Tanto più
dopo le primarie (stra)vinte da Matteo Renzi, lo scorso fine aprile.
C’È
PERÒ un aspetto, meno dibattuto, che vale la pena di analizzare.
Perché, a mio avviso, ha contribuito e contribuirà a modificare
ulteriormente l’identità del PD. Ma, soprattutto, la sua capacità di
interpretare un progetto. Di agire da “spina dorsale di un sistema
malato”, come ha scritto di recente, su queste pagine, Ezio Mauro. Mi
riferisco alla struttura sociale della base attiva. Coinvolta nelle
Primarie. Riguarda, soprattutto il profilo dell’età. Infatti, il PD
compie 10 anni, ma, in realtà, ne (di)mostra molti di più.
È
invecchiato, soprattutto negli ultimi anni. Un aspetto significativo,
che va tenuto sotto osservazione. Da chi si riconosce nel PD. Ma non
solo. Anche se, considerando le intenzioni di voto “politico”, emergono
indicazioni più articolate. Il PD (Demos, settembre 2017) ottiene,
infatti, consensi molto maggiori rispetto alla media fra gli “anziani”
(con oltre 65 anni). Ma anche fra i più “giovani” (sotto i 30 anni).
Presso i quali il PD “compete” con il M5s. Che, invece, cala
sensibilmente fra gli “anziani”. PD e M5s, secondo i sondaggi,
risulterebbero i partiti più “votati”, in questa fase.
È
significativo che entrambi si affidino alle primarie, per selezionare i
propri candidati. E, nel caso del M5s, per scegliere il leader.
Naturalmente, interpretano due modelli diversi. Anzi: alternativi. Come
rivelano i metodi utilizzati per le Primarie. Online, in-rete, nel caso
del Movimento 5 Stelle. Un non-partito anti-partito, che tende a
distanziarsi dagli altri. Anche nelle forme di partecipazione.
Dall’altro lato, il PD. Erede dei partiti di massa.
Che, per
questo, adotta metodi di partecipazione più tradizionali. Le Primarie
costituiscono il tentativo di superare il passato. Adottando il modello
utilizzato negli USA. Non per caso, per il PD, viene evocata la “via
americana”. Con la differenza, decisiva, che in Italia le (sue) Primarie
avvengono nel solco dei partiti storici, che facevano della
partecipazione un metodo di radicamento sul territorio.
Per questo
è particolarmente interessante osservare come sia cambiata la
partecipazione nel corso del tempo. Dal 2007 ad oggi, nel 2017.
Anzitutto dal punto di vista della base coinvolta. Che si riduce
progressivamente. In modo molto rilevante. Da oltre 3milioni e 550mila
elettori (militanti), nel 2007 (quando si afferma Veltroni), si scende,
infatti, a 3 milioni e 100mila, nel 2009 (affermazione di Bersani). Nel
2013 l’affluenza si ridimensiona ancora: 2 milioni e 800mila.
Quest’anno, infine, scivola di circa un milione. E si attesta intorno a 1
milione e 800 mila. È interessante osservare come il calo più
sensibile, per non dire il crollo, della partecipazione avvenga con
l’avvento di Matteo Renzi. L’innovatore. Anzi: il “rottamatore”. Il
quale, lo scorso aprile, trionfa con il circa 70% dei voti. Eppure non
riesce a frenare il disincanto politico, che consuma la passione verso i
partiti. Ma soprattutto il PD. Perché il PD resta “l’ultimo partito”,
come recita il titolo di un interessante saggio di Paolo Natale e
Luciano Fasano, appena pubblicato (da Giappichelli). Insieme
all’ampiezza, cambia, in modo significativo, anche la struttura della
partecipazione. Soprattutto, riguardo all’età. Se ci limitiamo alle due
ultime consultazioni, l’evoluzione appare evidente. I votanti più
giovani (16-34 anni) scendono dal 19%, nel 2013, al 15% nel 2017. Ma,
soprattutto, nelle Primarie, è la quota di elettori “anziani” (65 anni e
oltre) a crescere in misura rilevante: dal 29% nel 2013, al 42% nel
2017. Mentre, per quel che riguarda il voto al PD alle elezioni
politiche, dal 2007 al 2017 (stime Demos) l’incidenza delle classi di
età più giovani (18-34 anni) e anziane (65 anni e oltre), appare
costante. Rispettivamente, intorno al 23-24%, i giovani, e al 40%, gli
anziani.
Questi dati suggeriscono come sia in atto un cambiamento
sensibile nella base del PD. Sta invecchiando. In misura molto più
rapida e sensibile rispetto alla popolazione — e all’elettorato
nell’insieme. Ma se il partito riesce ancora a intercettare il voto dei
più giovani, in misura perfino superiore alla media, non riesce, però,
ad appassionarli. I “giovani- adulti” (30-40enni), d’altronde, sono
sempre più attratti dal M5s. Così, alle Primarie, come abbiamo osservato
alcuni mesi fa, si è recato un “popolo dai capelli grigi” (o con pochi
capelli…). Affiancato e accompagnato, talora, dai figli (e dai nipoti…).
E ciò proietta ombre inquietanti sul futuro. Perché è vero che la
partecipazione attraverso i partiti è in declino.
Ma senza
partecipazione i partiti non hanno speranza. Tanto più i partiti che
hanno una storia radicata nella società e nel territorio. Come il PD.
Per loro, oggi, la “rete” è utile, anzi necessaria. La televisione:
inevitabile. Ma non possono bastare. Parallelamente, la
“personalizzazione” procede senza sosta. Tanto più in tempi di
“democrazia del pubblico”. Di “democrazia digitale”. Ma rischia di
diventare deleteria. Trasformarsi in un “Partito personale”, nel
“Partito del capo” (per citare le note definizioni di Calise e
Bordignon), diventare PdR. Distaccarsi dalla società e dal territorio.
A dispetto dei propositi di rottamazione: significa “invecchiare”. Perdere il futuro.