giovedì 5 ottobre 2017

Repubblica 5.10.17
Susana contro Pedro la crisi istituzionale riaccende il duello fratricida dei socialisti
Sánchez chiede una trattativa con Barcellona, Díaz sposa la linea dura
di Alessandro Oppes

SONO le due anime inconciliabili di un partito in crisi. Pedro Sánchez e Susana Díaz litigano da anni – con alterne fortune – per conquistare saldamente il controllo del Psoe, oggi l’ombra della formazione che un tempo mieteva trionfi elettorali con Felipe González e José Luis Rodríguez Zapatero. Ma quella che a lungo è stata solo un’estenuante bega interna, rischia di trasformarsi ora in un affare di Stato di fronte alla più grave crisi istituzionale che la Spagna abbia vissuto negli ultimi 40 anni. Sánchez - tornato nel maggio scorso alla guida dei socialisti vincendo le primarie proprio contro Díaz - temporeggia sulla linea da adottare per affrontare la sfida catalana. Domenica scorsa, nella drammatica giornata del referendum illegale segnata dalle violenze della polizia contro gli elettori in fila ai seggi, ha taciuto per ore mentre le immagini di Barcellona aprivano i tg delle televisioni di tutto il mondo. Poi, a freddo, ha rilanciato il suo appello al dialogo con il presidente catalano Puigdemont, ha denunciato l’irresponsabilità del governo Rajoy, ha chiesto che le Cortes censurino la vice-premier Sáenz de Santamaría, ritenuta la stratega delle cariche di polizia ai seggi.
Mosse tattiche in attesa di vedere quale sarà la reazione della Moncloa alla dichiarazione d’indipendenza, che il Parlamento catalano potrebbe pronunciare in modo unilaterale lunedì prossimo. A Mariano Rajoy l’onere delle decisioni più difficili, poi il Psoe deciderà il da farsi, sembra essere il ragionamento.
Tutto il contrario dell’atteggiamento netto, a volte impulsivo, della presidente regionale andalusa. Díaz oggi guida l’opposizione interna al segretario, ma un anno fa fu proprio lei a promuovere la congiura interna che, al termine di una drammatica riunione nella sede di Calle Ferraz a Madrid, provocò le dimissioni dell’allora segretario generale mettendo il partito nelle mani di un comitato provvisorio. A Susana, la figlia di un idraulico di Siviglia diventata la leader della più forte federazione regionale socialista (gli iscritti al Psoe andaluso sono il 25 per cento del totale nazionale) non piace affatto che il suo rivale Pedro - l’economista madrileno fino a tre anni fa semi-sconosciuto e protagonista di un’irresistibile ascesa – abbia chiesto di censurare la vice di Rajoy. E non le piace neppure che, pochi giorni prima del referendum illegale, l’attuale dirigenza del partito si sia rifiutata di votare in Parlamento una mozione di pieno sostegno a tutte le iniziative che il governo centrale decidesse di prendere in risposta alla sfida catalana. In più, Díaz è stata la prima a pronunciarsi, martedì sera, sul duro intervento televisivo del re. Felipe VI aveva concluso il suo discorso da appena dieci minuti quando la leader andalusa ha twittato: «Condivido la difesa della Costituzione, della democrazia e della convivenza di tutti gli spagnoli che ha fatto il re». Meno netta, tra dichiarazioni ufficiali e commenti ufficiosi, la posizione di Sánchez e del circolo più ristretto dei suoi collaboratori ai vertici del Psoe: formale sostegno alle parole del sovrano, ma anche il rammarico per l’assoluta mancanza di un appello al dialogo tra Madrid e il governo di Barcellona.
Non è un mistero che, un anno e mezzo fa, quando Pedro Sánchez ricevette da Felipe VI l’incarico di formare il governo, fu anche per il fuoco di sbarramento di Susana Díaz e di altri “baroni” regionali del partito che i socialisti non poterono formare una maggioranza con Podemos, che avrebbe avuto bisogno del sostegno anche dei nazionalisti baschi e catalani. Nessun dialogo con chi vuole rompere la Spagna, è da sempre la parola d’ordine della leader andalusa. Ma ora c’è che chi comincia a pensare che quella strategia del muro contro muro abbia solo peggiorato le cose.