giovedì 5 ottobre 2017

Corriere 5.10.17
Le nuove forme del populismo (e del potere)
di Sergio Romano

Che cosa vogliono i catalani? Se vogliono gestire i loro affari senza piegarsi agli ordini di Madrid, organizzare liberamente la vita delle loro città, parlare la loro lingua e coltivare le loro memorie storiche, l’obiettivo è già stato raggiunto da parecchi anni e può sempre essere migliorato con qualche nuovo ritocco.

Se vogliono essere europei e partecipare alla costruzione dell’Unione, niente può favorire le loro iniziative quanto la partecipazione a uno Stato che negli uffici della Commissione europea ha un peso alquanto maggiore di quello che avrebbe la Catalogna. L’indipendenza, se decidessero di proclamarla, non aggiungerebbe nulla alla loro autorevolezza e creerebbe probabilmente inutili contenziosi fra Barcellona, Madrid e Bruxelles. Ci viene risposto che i Risorgimenti romantici del XIX secolo e il principio dell’autodeterminazione dei popoli, proclamato da un presidente americano alla fine della Grande guerra, giustificano pienamente le richieste catalane e quelle di altri secessionisti, non soltanto in Europa. La risposta non mi convince. Viviamo in tempi diversi. La democrazia, se bene amministrata, può garantire i diritti delle minoranze. L’economia liberale e la libertà degli scambi hanno considerevolmente diminuito l’importanza delle frontiere. La lezione impartita dalle due grandi guerre del Novecento dovrebbe ricordarci quanti danni i nazionalismi abbiano fatto alla umanità nel secolo scorso. Il fenomeno a cui stiamo assistendo ha nuove caratteristiche. Viene spesso chiamato patriottismo, ma è in realtà un nuova forma di populismo ed è provocato nel mondo occidentale dai mali, veri o immaginari, di cui soffrono in questo momento tutti gli Stati: la corruzione delle classi dirigenti, una gioventù cresciuta nella stagione delle speranze e delusa dalla realtà, l’eccessiva importanza della finanza, il crescente divario tra ricchezza e povertà, l’immigrazione di massa, l’impetuoso arrivo sulla scena economica di nuove potenze extra-europee. Come tutte le grandi crisi di sistema, anche queste hanno creato nuovi tribuni affamati di potere. A differenza di quelli che fecero le rivoluzioni del primo Novecento, questi tribuni non hanno ideologie e vanno a caccia di ricette salvifiche che possano mobilitare la grande massa dei malcontenti. Per fare queste battaglie, naturalmente, occorre un nemico. Per gli indipendentisti catalani è Madrid. Per il Fronte Nazionale della signora Le Pen e Alternativa per la Germania, è l’immigrato, soprattutto se proviene dal Medio Oriente. Per il Presidente ungherese Viktor Orbán è George Soros, il grande finanziere che predica la democrazia liberale nella Europa centro-orientale. Per il leader polacco Jaroslaw Kaczynski i nemici sono gli ex comunisti e le élite laiche della nazione. Per Boris Johnson, ministro degli Esteri della Gran Bretagna, i nemici sono Bruxelles e la Commissione europea. Per Donald Trump, il più grande dei tribuni mondiali, i nemici sono i latinos e tutti i Paesi che rifiutano di riconoscere il primato e la grandezza dell’America. Ai muri che questi tribuni vogliono costruire contro l’«invasore» e il «diverso» a noi spetta il compito di opporre la trincea della razionalità e del buon senso.