Repubblica 31.10.17
Che cosa rischia il presidente
Perché
quelle dello Special counsel sono solo le mosse iniziali: fanno pensare
a un “effetto domino” di nuove rivelazioni compromettenti per Trump
La
vulnerabilità del tycoon si vede nelle reazioni evocate, come
l’“auto-perdono” L’impeachment è una via difficile. Ma lo scandalo
potrebbe favorire una rivincita democratica
Paul Manafort tra Donald e Ivanka Trump durante la convention repubblicana nel luglio del 2016
di Federico Rampini
NEW
YORK COME per incastrare il boss mafioso Al Capone: si comincia
dall’evasione fiscale. Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale
di Donald Trump, viene inchiodato su reati economici: frode fiscale,
riciclaggio. Roba che qui in America può valere 20 anni di carcere,
però. E intanto costa 10 milioni di cauzione più gli arresti
domiciliari. Ma dietro Manafort e gli altri due incriminati, il grande
interrogativo riguarda lo stesso presidente. Che cosa rischia
esattamente Trump? E quali saranno le sue contromosse?
È vero quel
che sostiene la Casa Bianca, le accuse ai tre incriminati non
dimostrano una collusione Trump-Putin per dirottare l’elezione di un
anno fa, il vero tema del Russiagate. Però lo Special Counsel Robert
Mueller ha preso la guida di questa inchiesta solo a maggio, quelle di
ieri sono le sue mosse iniziali. E la durezza da lui sfoderata contro i
tre incriminati può avere un effetto- domino: sia inducendo questi tre a
“cantare”, a fare rivelazioni che compromettono il presidente; sia
sciogliendo la lingua di altri personaggi nell’entourage di Trump. La
giustizia americana ha una tradizione di patteggiamenti e uso dei
pentiti: le pene vengono ridotte a seconda di quanto l’imputato vuoti il
sacco su altri.
Perciò conviene cominciare dalla seconda domanda,
quella sulle possibili contromosse di Trump. Le difese di cui si
discute ore alla Casa Bianca sono così “estreme”, che danno l’idea della
posta in gioco. Si parla di due “opzioni nucleari”: il licenziamento
del grande inquisitore Mueller, o l’auto-amnistia preventiva. Non a caso
ieri i leader dell’opposizione democratica hanno iniziato un fuoco di
sbarramento su questi due temi: difendendo Mueller e condannando
l’opzione del perdono presidenziale. L’una e l’altra sono però
legalmente possibili. Il grande inquisitore che è lo Special Counsel
gode di ampia autonomia; però lo ha nominato questo governo (tramite il
Dipartimento di Giustizia) e questo governo può cacciarlo. Trump ha
esternato più volte la sua insofferenza verso la «caccia alle streghe »
di Mueller, un ex capo dell’Fbi che nella sua carriera si è costruito
una reputazione formidabile. Ancora nel weekend Trump lo attaccato –
senza nominarlo – via Twitter: «Ma perché al centro dell’indagine non ci
sono la corrotta Hillary e i democratici????? » (cinque punti
interrogativi nell’originale).
Per adesso Mueller sta facendo quel
che ci si attende: è la prova che le istituzioni americane funzionano,
hanno al loro interno gli anticorpi e i contropoteri per bilanciare una
presidenza inquietante. A destra però avanza una lettura diversa: è in
atto la rivincita dell’establishment, Mueller è il tipico esponente di
quel
Deep State (“Stato profondo”) che è una sorta di cupola dei poteri forti decisa a sabotare un presidente troppo innovativo.
Questa
teoria del complotto potrebbe giustificare l’auto-perdono: più volte
Trump ha ricordato che la Costituzione gli attribuisce una facoltà quasi
illimitata di elargire il perdono presidenziale. Autorevoli giuristi
avallano la tesi secondo cui lui può dare il perdono preventivo, cioè
una sorta di immunità a parenti, collaboratori, perfino a se stesso.
Tuttavia queste opzioni “nucleari”, il licenziamento di Mueller o la
raffica di perdoni che svuoterebbero l’inchiesta, causerebbero un
allarme nazionale. Si tratterebbe di uno scenario alla Richard Nixon:
che prima di crollare per lo scandalo del Watergate nel 1974 aveva
tentato di salvarsi cacciando gli inquirenti. Un dettaglio interessante,
a riprova dell’abilità di Mueller: alcuni reati contestati a Manafort
sono perseguibili localmente nello Stato di New York, mentre il
presidente può perdonare solo reati federali. Manafort rischierebbe il
carcere anche da “perdonato”.
Le contromosse di cui si discute
riportano al nocciolo della questione. I tre arresti-incriminazioni di
ieri quanto stringono il cerchio attorno a Trump? È vera la difesa della
Casa Bianca secondo cui Mueller rinfaccia a Manafort reati commessi nel
suo mestiere di affarista, non come capo della campagna elettorale.
Però quei reati di evasione e riciclaggio conducono ai legami fra
Manafort e affaristi ucraini, russi, vicini a Putin. L’incriminato più
interessante è George Papadopoulos: figura meno importante nello staff
elettorale, ha ammesso però di aver mentito su un episodio chiave. Fu
lui l’anello di congiunzione con gli ambienti vicini a Vladimir Putin,
che offrirono rivelazioni devastanti contro Hillary Clinton. E
l’organizzazione elettorale di Trump, lungi dal prendere le distanze, lo
incoraggiò a esplorare le offerte dei russi. Qui ci si avvicina al tema
della “collusione”.
Non ci siamo ancora, però Mueller sembra deciso a esplorare gli angolini più reconditi di questa vicenda.
Poi
tutto questo va riportato alla realtà politica. L’America non è una
Repubblica parlamentare dove i governi possono cadere sotto il peso
degli scandali. Il presidente- eletto può essere rimosso solo tramite
impeachment o con una procedura d’interdizione prevista nel 25esimo
emendamento alla Costituzione. L’uno e l’altra richiedono iter complessi
e delle super-maggioranze al Congresso. Finora il partito repubblicano
non dà segnali di volersi sbarazzare del proprio presidente. I dissensi
sono autorevoli ma rari, e i senatori repubblicani più ostili a Trump
hanno annunciato di non volersi ricandidare. In qualche modo lui è
riuscito a fare un’Opa ostile sul partito.
Il Russiagate può
favorire una rivincita democratica alle elezioni legislative che si
terranno fra un anno. Con una maggioranza diversa al Congresso, tutto
diventerebbe possibile. Un anno è tanto. E da qui al novembre 2018, i
pessimisti temono che il Commander- in- Chief potrebbe inventarsi di
tutto. Anche una guerra?