lunedì 30 ottobre 2017

Repubblica 30.10.17
Franceschini e Orlando: “Passo avanti”. Ma il leader non vuole ricucire con i bersaniani, e viceversa. “La cittadinanza? Me ne sono dimenticato...”
“Alleanze a sinistra? Non mi illudo” E l’ex premier non parla di Ius soli
Orfini: “Dobbiamo porci il problema di quanti voti può perdere il Pd a causa di accordi sbagliati”
di Goffredo De Marchis

NAPOLI. «Senza farmi troppe illusioni », è il corollario all’apertura sulle alleanze a sinistra che depotenzia tutto l’impianto. Matteo Renzi si riferiva naturalmente a Mdp, a Bersani e Speranza, quando ha escluso «veti al centro e a sinistra» e spiegato di essere pronto a «superare gli insulti ricevuti». Per un giorno ha seguito la “dottrina Gentiloni”, l’idea che il Pd, come perno centrale di una coalizione, si faccia carico di allargare, di unire per non perdere e non seguire la massima di De Coubertin. Dottrina che prima del premier avevano messo in campo Dario Franceschini e Andrea Orlando (e con loro Anna Finocchiaro, Michele Emiliano insieme ad altri dirigenti), non a caso ieri soddisfatti per l’intervento conclusivo del segretario alla conferenza programmatica del Pd, nel museo ferroviario di Pietrarsa. Il ministro della Giustizia dice: «Manca il come e il quando, ma è un passo avanti». E il ministro della Cultura resta convinto che bisogna superare gli steccati: «Ha detto non metto veti a centro e sinistra. Quindi, il messaggio era rivolto a tutti».
Il dialogo con i fuoriusciti rimane complicatissimo, per responsabilità che vanno divise quasi in pari misura. C’è un fronte nel Pd, che dando credito alle dichiarazioni del segretario, cerca di sollecitarlo, di spingerlo a fare un sacrificio maggiore. «Costruire un’ampia coalizione è compito di tutti», sottolinea la Finocchiaro. Ma Renzi attende la forza delle cose. Ovvero, il risultato siciliano che può dimostrare le difficoltà del Pd ma anche la scarsa tenuta scarsa dell’intero centrosinistra. Perciò - è convinto - si porrà il problema di un ripensamento tra i bersaniani. Eppoi, le regole della nuova legge elettorale che «in fondo - come spiega il leader del Pd ai fedelissimi - è in vigore da soli tre giorni». Ognuno verrà chiamato a studiare i pro e i contro del marciare separati. Franceschini, in versione speranzoso, crede che «i collegi uninominali e il turno unico del Rosatellum » produrranno l’effetto calamita della ricerca di una coalizione, naturalmente intorno al Partito democratico. Ma Renzi vede chiaramente come la galassia a sinistra dei dem stia cercando di organizzare qualcosa che marcia contro e non insieme al Pd.
Il passaggio del discorso sul fatto che «non è importante il leader ma la vittoria del Pd» non significa certamente un passo di lato da parte del segretario sulla premiership. Anzi, è evidente che la conferma della sua candidatura a premier è la premessa a qualsiasi alleanza. Non si fanno coalizioni rimettendo in discussione l’esito delle primarie, questo dev’essere chiaro. Il treno ormai è partito. Lo dimostra anche la “dimenticanza” di un sostegno alla battaglia per lo Ius soli, legge rilanciata sabato con «solennità» da Gentiloni e Minniti. Il segretario non ne parla, poi spiega: l’aveva scritto ma non ha fatto in tempo a leggere quel brano. Il punto è che la campagna elettorale è cominciata, lo Ius soli è una priorità più per il governo in carica che per chi cerca il consenso elettorale.
La domanda adesso è se l’apertura sia concretizzabile o meno. Su questo ragiona Renzi. I renziani sono sicuri che la partita a sinistra sia solo agli inizi. E di poter attirare dalla propria parte pezzi di quel mondo. Sandro Gozi ieri mattina è stato spedito a Roma a presenziare all’iniziativa europeista dove era presente anche Giuliano Pisapia. Dario Stefano, ex Sel, non ha mancato un giorno al museo ferroviario. La base di Mdp, sul territorio, alla fine farà i conti con le forze in campo collegio per collegio. Infine, c’è la cifra del renzismo: la battaglia generazionale. Ancora una volta si scommette sulla voglia dei giovani di Articolo 1 di liberarsi dall’ipoteca della vecchia guardia.
Troppi incastri per rendere il percorso in discesa. Ma anche il rischio di un Pd coalizzato solo con dei “cespugli” di minime dimensioni spaventa una parte del gruppo dirigente. «Capisco i dubbi - replica Matteo Orfini -. Ma se guardiamo i sondaggi, con tutto il rispetto, nessuna forza fuori dal Partito democratico raggiunge percentuali alte. Mdp compresa. Dobbiamo anche porci il problema di quanti voti può perdere il Pd in un’alleanza che non viene capita».