lunedì 2 ottobre 2017

Repubblica 2.10.17
Il retroscena.
Il governo prepara la trattativa: “Il leader di Campo progressista va aiutato”. E Padoan ha già visto tre volte i bersaniani
Il premier cerca un asse con Giuliano “O mercoledì sul Def si può rischiare”
L’attendismo di Pisapia legato a un possibile passo indietro di Renzi per la premiership La sinistra punta a dirottare i soldi sul sociale: “Ma non faremo arrivare la Trojka”
di Goffredo De Marchis

ROMA. Quando Paolo Gentiloni dice che «bisogna aiutare Pisapia » pensa più alle sorti del suo governo e della legge di stabilità che ai destini della sinistra. Ma la sostanza politica cambia poco: il premier cerca un asse con l’ex sindaco. Vale soprattutto per l’oggi ma può segnare anche la strada di domani.
Oggi è fondamentale trovare un alleato meno minaccioso di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. Gentiloni vuole mettere in sicurezza tutti i passaggi di autunno sui conti pubblici. Per garantire il risultato ha bisogno della sponda di un rappresentante della sinistra che non sia fedele agli ultimatum quotidiani dei suoi compagni, i quali ripetono lo slogan “Gentiloni ha solo più stile di Renzi, le sue politiche però sono identiche”. Parole pericolose se dovessero trasformarsi in fatti, ovvero in voti parlamentari contro l’esecutivo.
Da giorni Palazzo Chigi prepara l’incontro di stamattina con l’ex sindaco di Milano. Il premier e Pisapia si sono parlati più volte al telefono. Gli uffici della presidenza del Consiglio hanno concordato i dettagli del vertice, al quale parteciperanno assieme all’ex sindaco solo i capigruppo di Mdp. Matteo Renzi è stato avvertito per tempo, il Pd quindi conosce tutti i movimenti del governo verso una forza parlamentare avversaria dei dem (del suo segretario in particolare) eppure fondamentale in Parlamento per approvare la nota di relazione, l’aggiornamento al Def, la manovra economica.
La prudenza di Gentiloni, in questa fase, si manifesta nel rinvio dello ius soli. E nel prendere sul serio i toni di alcuni fuoriusciti del Pd. Il premier per esempio non può non vedere con quale frequenza si dice, a sinistra, che il governo ascolta Alfano e non loro. Che mancano i tavoli di confronto. Che «i voti di quell’area non arriveranno gratis o in maniera scontata. Si può sempre rischiare». Perché insistere sul confronto mancato infatti quando la realtà è diversa? Quale insidie nascondono queste polemiche?
La capogruppo al Senato di Mdp Maria Cecilia Guerra ha visto ben tre volte, faccia a faccia, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il titolare del Tesoro le ha illustrato, da economista a economista, i numeri. Ha confermato lo sforzo sul lavoro dei giovani (decontribuzioni per le assunzioni), ha chiesto di avere richieste più precise sulla sanità. Ma è stato netto sulle risorse di spesa che rimarranno alla fine dell’intervento complessivo: una cifra che non arriva al miliardo di euro. Difficile chiamarlo tesoretto, impossibile usarlo per aggiustare i conti della salute pubblica. Per quel capitolo servono sempre molti miliardi. Questa è la base su cui si può discutere. Con il passaggio preliminare del voto in aula al Senato di mercoledì: per approvare la nota di aggiornamento al Def serve la maggioranza assoluta, 161 sì.
Come ha detto ieri Roberto Speranza a Napoli, concludendo con l’ex sindaco la festa di Articolo 1, la sinistra punta a dirottare soldi sui problemi sociali: scuola, lavoro, povertà, servizio sanitario. Ma ha confermato: chiediamo discontinuità ma saremo responsabili, non faremo arrivare la Trojka in Italia. Stamattina a Palazzo Chigi Gentiloni e Pisapia cercheranno delle soluzioni, apriranno un dialogo. Non è detto che arriveranno delle risposte, ma alla vigilia del voto sulla relazione del Def il governo avrà un interlocutore che non cerca la rottura col Pd a tutti i costi. Alla fine, il vertice servirà soprattutto a suggellare un riconoscimento politico. Per Pisapia quello del leader del campo a sinistra del Partito democratico, della personalità in grado di tenere ancora accesa la speranza di un centrosinistra largo senza escludere il Pd.
Però, nella sala di Palazzo Chigi, salterà agli occhi anche un altro particolare. Pisapia ha confessato di non parlare con Renzi da sei mesi, mentre oggi vede Gentiloni. L’impressione è che la mancanza di coraggio imputata da D’Alema all’ex sindaco sia in verità un’attesa. L’attesa di un cambio della guardia dentro il Pd, di una detronizzazione di Renzi. Che può passare dalle dinamiche interne, dal risultato delle regionali in Sicilia e avverrebbe sotto forma di un diverso candidato premier dem per le elezioni politiche. E naturalmente uno dei nomi in pista, tra i tanti, è quello del premier in carica Gentiloni. Del quale Pisapia ha detto ieri: «La discontinuità di metodo c’è. Infatti ha un consenso molto maggiore rispetto a Renzi».