lunedì 2 ottobre 2017

Repubblica 2.10.17
L’intervista.
Lo scrittore Irvine Welsh “L’indipendenza è un’idea progressista”
“Schiaffo alla democrazia Madrid prenda esempio dalla Gran Bretagna”
di Enrico Franceschini

LA SOVRANITÀ deve appartenere al popolo e non a un governo che si oppone con atteggiamenti imperialisti
La somiglianza con la Scozia è evidente: due culture che furono indipendenti vogliono tornare ad esserlo
Scrittore e drammaturgo, Irvine Welsh nasce in Scozia nel 1958.
“Trainspotting” è il suo primo romanzo e il suo più grande successo, con milioni di copie vendute in tutto il mondo. Dal romanzo, il celebre film del ‘96 diretto da Danny Boyle. Sostenitore dell’identità scozzese e dell’indipendenza, Welsh vive tra Dublino e Miami e insegna scrittura creativa a Chicago

LONDRA. «La Scozia dovrebbe servire da esempio alla Catalogna, ricordando alla Spagna che si può essere pro o anti indipendenza, ma bisogna essere comunque pro democrazia ». È il giudizio di Irvine Welsh, lo scrittore scozzese che continua a battersi per la secessione della terra di Braveheart dal Regno Unito. «Più un governo centrale si oppone a una consultazione democratica, più indebolisce le proprie ragioni», ammonisce il 59enne autore del best-seller cult “Trainspotting” e di tanti altri romanzi in questa intervista a
Repubblica.
La Spagna ha cercato di impedire il referendum in Catalogna: vista da uno che di referendum per l’indipendenza ne sa qualcosa, che effetto le fa questa sfida?
«È un terribile schiaffo alla democrazia. Tutte le nazioni hanno diritto all’autodeterminazione. La sovranità deve appartenere al popolo e non a un governo con atteggiamento imperialista che cerca di nascondersi dietro le leggi di una costituzione di stampo franchista».
Ritiene ancora possibile un dialogo tra le autorità di Barcellona e di Madrid dopo l’escalation di questi giorni?
«Bisognerebbe sempre cercare il dialogo e spero che sia ancora possibile anche in questo caso. Gli spagnoli, come i catalani, sono democratici. Gli uni e gli altri devono imparare a convivere come amici e buoni vicini di casa. In che modo, dovranno deciderlo democraticamente insieme. Ma i governi devono rendersi conto che essi esistono per servire la democrazia: non è la democrazia che esiste per servire i governi assecondando i loro desideri ».
Lei vede somiglianze fra quello che sta accadendo in Catalogna e l’ormai lunga lotta per l’indipendenza della Scozia?
«La somiglianza è evidente: due popolazioni e due culture che furono indipendenti vogliono tornare a esserlo. Entrambe si sentono profondamente europee e chiedono di rimanere nella Ue. Entrambe aspirano a mantenere buoni rapporti con il Paese che intendono lasciare. Ma c’è anche qualche differenza. La Scozia ha ora un motivo in più per chiedere l’indipendenza: restando parte della Gran Bretagna si ritroverà fuori dall’Unione Europea. A meno che la Gran Bretagna ci ripensi».
E ci sono delle lezioni per Spagna e Catalogna nel conflitto che si è sviluppato finora fra Regno Unito e Scozia?
«Penso che la Spagna abbia compiuto un terribile errore a ostacolare il referendum catalano. Un errore che il governo britannico non ha fatto. Poco importa cosa è previsto da presunte leggi costituzionali: le leggi sono sempre interpretabili a seconda delle esigenze dei politici. Nel lungo periodo, più un governo centrale democratico si oppone a una consultazione democratica, più quel governo indebolisce le proprie ragioni e i propri diritti. Questa è la lezione che Madrid dovrebbe apprendere da Londra. Che uno sia pro-indipendenza o anti-indipendenza, deve essere pro-democrazia e avere il coraggio di lasciare decidere al popolo».
Anche i curdi vogliono fare un referendum per l’indipendenza, contro il volere di Turchia e Iraq. Come valuta questa sempre più diffusa tendenza all’indipendentismo?
«Gli stati nazione che esistono oggi sono costruzioni artificiali che furono in gran parte formate in un’era imperialista pre-democratica. Molti di questi stati hanno fatto a meno di modernizzarsi, al punto che oggi non sono adeguati alle esigenze dei propri cittadini. Esistono al servizio delle élite, non del popolo. Per questo penso che sia necessario evolvere lo stato contemporaneo, in modo che renda maggiormente conto del proprio operato ai poteri locali. In modo che lo stato esca dall’ombra del post-feudalesimo e risponda ai bisogni della democrazia ».
A proposito della Scozia, dopo il deludente risultato per il suo partito alle elezioni di giugno, in cui ha mantenuto la maggioranza ma ha dimezzato i propri seggi, la premier indipendentista Nicola Sturgeon ha rinviato a data da destinarsi la convocazione di un secondo referendum per la secessione. Gli indipendentisti hanno già perso il primo, tre anni fa, 55 a 45 per cento. È la fine delle istanze indipendentiste scozzesi?
«Penso e spero che il secondo referendum prima o poi si farà. L’indipendenza scozzese è un ideale profondamente progressista. È venuto il momento di realizzarlo».
E sarà la Brexit a causare l’indipendenza della Scozia?
«La Brexit è una decisione nostalgica e reazionaria, ma è stata resa possibile soltanto a causa del corrotto neoliberalismo che ha preso il sopravvento sia in Gran Bretagna, sia nella Ue. Dovranno essere le nuove nazioni emergenti, come Scozia e Catalogna, a esprimere lo spirito di una nuova Europa unita e progressista».