Corriere 2.10.17
Luis Sepúlveda
«Ora una riforma della Costituzione o la Spagna non avrà un futuro»
intervista di Sara Gandolfi
Barcellona
«Mariano Rajoy sta giustificando la brutalità dimostrata dalla Guardia
Civil e dalla Policía Nacional contro una popolazione civile, contro
cittadini che, con o senza ragione, volevano solo andare alle urne e
votare». Luis Sepúlveda, scrittore cileno che ha scelto di vivere in
Spagna il suo lungo esilio, e di cui è appena uscito in Italia il libro
Storie ribelli (Guanda editori), risponde al Corriere proprio mentre in
tv scorrono le immagini della conferenza stampa del premier spagnolo. E
non gli piace nulla di quello che sta ascoltando. «Fino a pochi giorni
fa, il numero dei catalani disposti a partecipare al referendum era la
metà di quelli che hanno poi tentato di votare. Non hanno votato per o
contro l’indipendenza, votavano per il diritto a decidere liberamente, e
contro l’arroganza di un governo ottuso, troppo vicino al franchismo,
troppo immobile e insensibile ai problemi che si devono risolvere in
modo politico e mai con la forza della repressione».
I suoi colleghi Vargas Llosa e Javier Cercas hanno definito il referendum un golpe…
«Sciocchezze. Chi ha fatto un colpo di Stato? Quelli che sanguinavano nelle strade e negli ospedali della Catalogna?».
Come si è arrivati fin qui, chi sono i «colpevoli»?
«C’è
stata una lunga serie di offese e incomprensioni tra lo Stato spagnolo e
la Catalogna, e la situazione si è aggravata quando il Tribunale
costituzionale, composto da giudici in maggioranza di destra, ha
eliminato lo Statuto d’autonomia catalana, votato e approvato dal
Parlamento della Catalogna. Poi c’è l’immobilismo della destra, la
tattica di Rajoy è non fare nulla, perché tutto scivoli via, senza
curarsi dei costi sociali e politici. È mancato il dialogo da entrambe
le parti, però soprattutto è mancata la volontà politica da parte del
governo spagnolo per aprire le porte a questo dialogo. La destra ha
sempre fatto affidamento più sulla repressione che sul dialogo».
La politica ha alimentato l’odio?
«Vivo
in Spagna da tempo e ho potuto constatare come i settori più retrogradi
della società spagnola, quella parte della popolazione con diritto di
voto che appoggia senza tentennamenti la destra, ha estratto dai vecchi
resti della storia ciò che c’è di più rancido e assurdo del nazionalismo
fascista. La destra ha avvelenato la politica con l’odio, e lo stesso
hanno fatto in Catalogna quelli che credono che l’indipendenza sia un
atto di magia».
Tra Barcellona e Madrid ci sono però anche ferite storiche ancora aperte. La transizione non ha funzionato?
«La transizione fu un patto del silenzio. E nella storia i silenzi si rompono sempre».
Forse alla Spagna serviva un processo di riconciliazione come quello avvenuto in Cile?
«In
Cile si è imposta l’amnesia come ragione di Stato. Di quale
riconciliazione si parla quando lo Stato ancora non chiede scusa alle
vittime, e i torturatori e i loro complici continuano a vivere in
situazioni di privilegio, compresi quelli che stanno in carcere?».
Allora come risolvere l’impasse qui in Spagna?
«La
soluzione è politica e passa da una riforma della Costituzione
spagnola. La Spagna deve essere uno Stato federale. Oggi però, dopo la
giornata di repressione e le dichiarazioni ottuse di Pedro Sánchez, il
leader del Psoe, in Catalogna c’è più volontà indipendentista che mai».
Così possono iniziare le guerre civili?
«La società catalana è colta, civilizzata, dialogante, moderna. I catalani non darebbero mai inizio a una guerra civile».
Crede in una Spagna plurinazionale?
«La Spagna è un insieme di nazioni e il suo futuro è federale e repubblicano. O non avrà futuro».