lunedì 2 ottobre 2017

Repubblica 2.10.17
Nell’era Internet spesso si dimenticano le persone Ma gli stessi consumatori possono “imporre” contratti accettabili
Dal boicottaggio al mutuo soccorso così si può frenare lo sfruttamento
Le piattaforme online, con la risposta immediata ai bisogni degli utenti, abbassano le protezioni e disarticolano la produzione
di Marco Ruffolo

C’è un amaro paradosso nel regno dell’economia digitale, quella che attraverso piattaforme e algoritmi riesce a soddisfare in tempo quasi reale ogni tipo di richiesta: dalla pizza entro mezzora al libro consegnato entro un giorno, dall’autista che ti arriva sotto casa alla ricerca istantanea su Google. Più aumentano i vantaggi per i consumatori, con tempi e prezzi ridotti, più si tende a dimenticare da parte degli stessi utenti quanto e quale lavoro c’è dietro quei servizi. Le false profezie di una rete che avrebbe democratizzato imprese e mercati, che avrebbe liberato il nostro sistema produttivo dal principio di scarsità, moltiplicando beni, servizi e lavori grazie alla cooperazione di una entusiastica folla di internauti, ci hanno probabilmente spinto a pensare che un’economia “del gratuito” potesse in qualche misura realizzarsi. Ci hanno portato a ignorare, seduti comodamente in attesa di una risposta ai nostri click, che dietro quei libri, quelle pizze, quelle auto, si consuma in realtà uno sfruttamento del lavoro spesso scandaloso, fatto di bassi salari e inesistenti coperture assicurative.
Eppure, se c’è una figura in grado di alzare la voce per pretendere contratti di lavoro accettabili, è proprio quella del consumatore, che ha il potere di sospendere l’utilizzo delle piattaforme anti-sindacali. Più che gli scioperi dei “rider” di Foodora e dei ciclofattorini di Deliveroo, quel che ha convinto la prima multinazionale a trattare con i lavoratori dei pasti a domicilio sembra sia stata proprio la minaccia lanciata sui social network dai consumatori di abbandonare quella piattaforma in segno di protesta. Difficile, in altre parole, che da soli i nuovi precari del cottimo, subalterni ma formalmente autonomi, possano strappare condizioni migliori di lavoro. Le piattaforme digitali, rispondendo istantaneamente alla domanda di servizi, hanno disarticolato la produzione e abbassato la protezione. «È come se si venisse assunti e licenziati ogni dieci minuti, e pagati all’occorrenza – ha scritto tempo fa Valerio De Stefano, docente di diritto del lavoro alla Bocconi – Questo avviene nella ristorazione, nella distribuzione, nella logistica ».
Pronta, dietro l’angolo, la tentazione di additare le nuove tecnologie come strumenti diabolici da eliminare. Problema mal posto, come in tutti i sogni luddisti. Si tratta invece di pretendere la costruzione di una rete protettiva per i nuovi precari. Con quali strumenti? Uno di questi è sicuramente il mutuo soccorso.
La Smart, una cooperativa che riunisce 90 mila artisti e creativi in nove Paesi (Italia compresa, con l’aiuto iniziale della Fondazione Cariplo), si accorse a un certo punto che in Belgio molti dei suoi soci, per sbarcare il lunario, facevano anche i fattorini alla Deliveroo. Così le venne in mente di accordarsi con la multinazionale britannica delle consegne di pasti a domicilio: la Smart avrebbe fatto ai soci-fattorini un contratto di lavoro subordinato intermittente, garantendo minimo salariale e coperture assicurative. Il caso non rimase isolato. «All’estero, con un unico contratto stipulato con Smart, il socio-freelance può svolgere anche più tipi di lavoro autonomo, ma con le garanzie del lavoro subordinato - spiega Donato Nubile, presidente di Smart Italia – ma da noi non è ancora possibile per via di vincoli molto stretti». La Smart, insomma, riesce a riempire i buchi assicurativi e salariali lasciati dalle piattaforme digitali, con le quali tratta direttamente, evitando al lavoratore un negoziato da posizioni di debolezza. A quale costo? «Chiediamo ai nostri soci – dice Nubile – l’8,5% del loro fatturato, ma cerchiamo anche, alcune volte con successo, di ottenere per loro paghe migliori: gestendo noi i lavoratori, consentiamo infatti alle piattaforme digitali di realizzare forti risparmi ».
Ma che succede quando non ci sono queste “umbrella companies” a proteggere i lavoratori? L’idea del giuslavorista Pietro Ichino, in questo caso, è quella di imporre per legge alle piattaforme digitali il pagamento dei compensi attraverso lo stesso sito Internet istituito dall’Inps per il lavoro occasionale: una specie di voucher virtuale che incorpori retribuzione minima e contributo assicurativo. Vedremo se i legislatori, italiani ed europei, vorranno utilizzare questi o altri mezzi per cercare di schiarire la zona grigia in cui operano oggi i “net workers”. Una cosa però è certa: senza il contributo di noi consumatori, senza la consapevolezza che dietro i nostri comodi servizi, ricevuti quasi in tempo reale, si nascondono fatiche scarsamente protette, non ci sarà nessuna spinta al cambiamento e l’economia digitale resterà l’esatto contrario di quella “fine di ogni gerarchia” che aveva promesso di essere.