Repubblica 2.10.17
Un fallimento che il voto non risolverà
di Roberto Toscano
IL
dado è tratto. Il Rubicone è attraversato. Il Parlamento catalano ha
approvato nel pomeriggio di ieri il conferimento al governo presieduto
da Carles Puigdemont del mandato di procedere alla proclamazione
dell’indipendenza della Repubblica catalana. L’autonomismo radicale alza
in questo modo una bandiera che non è solo indipendentista, ma anche
repubblicana. Una dimensione che non è certo nuova (la Catalogna fu
l’ultimo ridotto della Spagna repubblicana contro l’eversione militare
del franchismo), ma che rimaneva sotto traccia finché il catalanismo —
quello tradizionale della borghesia — puntava su crescenti margini di
autonomia, da ottenere facendo valere il proprio peso politico a livello
nazionale, e non toccava la questione monarchia/repubblica. Una
questione che nella Spagna democratica anche la sinistra ha sempre
evitato di sollevare.
La risposta di Madrid non si è fatta
aspettare. A brevissima distanza dal voto del parlamento catalano il
Senato spagnolo ha approvato l’applicazione dell’art. 155 della
Costituzione, che autorizza il commissariamento dell’autonomia catalana —
un commissariamento applicato nella sua versione più estrema, con la
destituzione dalle rispettive cariche di Puigdemont e del suo governo,
lo scioglimento del parlamento catalano e l’assunzione da parte del
Ministero dell’Interno del comando della polizia regionale, i Mossos
d’Esquadra. Le elezioni regionali sono state indette per il 21 dicembre.
È
inevitabile che si prenda posizione sulle rispettive responsabilità per
questo scontro, per molti versi assurdo e che sarebbe stato possibile
evitare se a Barcellona non avesse prevalso un avventurismo provocatorio
e Madrid non si fosse chiusa in un immobilismo assoluto e politicamente
inetto. Siamo oggi di fronte al fallimento di due gruppi dirigenti
caparbiamente arroccati sulle rispettive posizioni e incapaci di trovare
sbocchi politici. Nei giorni scorsi, sulle pagine di un quotidiano
catalano, un commentatore ugualmente critico di Barcellona e Madrid ha
richiamato il noto, lapidario giudizio di Giulio Andreotti sulla
politica spagnola: «Manca finezza ». Certo è mancata in Rajoy che
avrebbe dovuto aprire — come i socialisti hanno (tardivamente) proposto —
la via verso una riforma costituzionale che avrebbe reso possibile un
referendum legale con tutte le necessarie garanzie (quorum e maggioranza
qualificata) avviando nel contempo una riforma di tipo federale capace
di introdurre un nuovo e più soddisfacente assetto di un sistema già
fortemente autonomista.
Per quanto riguarda l’indipendentismo
catalano, si conferma la validità della frase di Raymond Aron: «Se
pensate che la gente sia disposta a sacrificare le proprie passioni per i
propri interessi, vi sbagliate». Qualunque proiezione attendibile delle
possibili conseguenze dell’indipendenza fa infatti emergere un quadro
fortemente negativo, dall’uscita dalla Ue ai costi economici, già
evidenti con l’esodo delle sedi di centinaia di società. Ma il
nazionalismo è passione, non ragione. Eppure, anche se in Catalogna non
si può ridurre tutto a una questione di “schei” (come nel caso degli
inequivocabili risultati del referendum sull’aumento dell’autonomia del
Veneto) anche i catalani sono noti per non essere indifferenti a
considerazioni sul reparto delle risorse fiscali, e da tempo chiedevano
di vedersi riconosciuto lo stesso grado di autonomia fiscale di cui gode
il Paese basco. Un tema su cui non doveva risultare impossibile
trattare.
Ma ormai non serve pensare a quello che si doveva e
poteva fare. Urge piuttosto riflettere, e con urgenza, su come uscire da
questa crisi dagli sbocchi imprevedibili. Fra l’altro le elezioni che
fanno parte del pacchetto di misure dell’art. 155 potrebbero confermare
sostanzialmente il quadro attuale (un appoggio all’indipendentismo tra
il 40 e il 50 per cento), e forse anche riflettere un aumento dei
consensi, come conseguenza di una reazione di rigetto della sospensione
dell’autonomia, anche da parte di un elettorato finora non
indipendentista. In ogni caso, senz’altro le cose peggioreranno, e forse
molto, prima che si possa trovare una soluzione che salvi nello stesso
tempo l’integrità dello stato spagnolo e l’autonomia catalana, da oggi
sospesa ma che sarebbe irrealista pensare di mantenere a lungo
commissariata a meno che a Madrid non si decida di ricorrere a livelli
di repressione estremi. Una repressione che senza dubbio permetterebbe
allo stato spagnolo di imporsi con la forza, ma da cui la democrazia
spagnola non potrebbe sperare di emergere intatta.