sabato 28 ottobre 2017

Repubblica 2.10.17
Un fallimento che il voto non risolverà
di Roberto Toscano

IL dado è tratto. Il Rubicone è attraversato. Il Parlamento catalano ha approvato nel pomeriggio di ieri il conferimento al governo presieduto da Carles Puigdemont del mandato di procedere alla proclamazione dell’indipendenza della Repubblica catalana. L’autonomismo radicale alza in questo modo una bandiera che non è solo indipendentista, ma anche repubblicana. Una dimensione che non è certo nuova (la Catalogna fu l’ultimo ridotto della Spagna repubblicana contro l’eversione militare del franchismo), ma che rimaneva sotto traccia finché il catalanismo — quello tradizionale della borghesia — puntava su crescenti margini di autonomia, da ottenere facendo valere il proprio peso politico a livello nazionale, e non toccava la questione monarchia/repubblica. Una questione che nella Spagna democratica anche la sinistra ha sempre evitato di sollevare.
La risposta di Madrid non si è fatta aspettare. A brevissima distanza dal voto del parlamento catalano il Senato spagnolo ha approvato l’applicazione dell’art. 155 della Costituzione, che autorizza il commissariamento dell’autonomia catalana — un commissariamento applicato nella sua versione più estrema, con la destituzione dalle rispettive cariche di Puigdemont e del suo governo, lo scioglimento del parlamento catalano e l’assunzione da parte del Ministero dell’Interno del comando della polizia regionale, i Mossos d’Esquadra. Le elezioni regionali sono state indette per il 21 dicembre.
È inevitabile che si prenda posizione sulle rispettive responsabilità per questo scontro, per molti versi assurdo e che sarebbe stato possibile evitare se a Barcellona non avesse prevalso un avventurismo provocatorio e Madrid non si fosse chiusa in un immobilismo assoluto e politicamente inetto. Siamo oggi di fronte al fallimento di due gruppi dirigenti caparbiamente arroccati sulle rispettive posizioni e incapaci di trovare sbocchi politici. Nei giorni scorsi, sulle pagine di un quotidiano catalano, un commentatore ugualmente critico di Barcellona e Madrid ha richiamato il noto, lapidario giudizio di Giulio Andreotti sulla politica spagnola: «Manca finezza ». Certo è mancata in Rajoy che avrebbe dovuto aprire — come i socialisti hanno (tardivamente) proposto — la via verso una riforma costituzionale che avrebbe reso possibile un referendum legale con tutte le necessarie garanzie (quorum e maggioranza qualificata) avviando nel contempo una riforma di tipo federale capace di introdurre un nuovo e più soddisfacente assetto di un sistema già fortemente autonomista.
Per quanto riguarda l’indipendentismo catalano, si conferma la validità della frase di Raymond Aron: «Se pensate che la gente sia disposta a sacrificare le proprie passioni per i propri interessi, vi sbagliate». Qualunque proiezione attendibile delle possibili conseguenze dell’indipendenza fa infatti emergere un quadro fortemente negativo, dall’uscita dalla Ue ai costi economici, già evidenti con l’esodo delle sedi di centinaia di società. Ma il nazionalismo è passione, non ragione. Eppure, anche se in Catalogna non si può ridurre tutto a una questione di “schei” (come nel caso degli inequivocabili risultati del referendum sull’aumento dell’autonomia del Veneto) anche i catalani sono noti per non essere indifferenti a considerazioni sul reparto delle risorse fiscali, e da tempo chiedevano di vedersi riconosciuto lo stesso grado di autonomia fiscale di cui gode il Paese basco. Un tema su cui non doveva risultare impossibile trattare.
Ma ormai non serve pensare a quello che si doveva e poteva fare. Urge piuttosto riflettere, e con urgenza, su come uscire da questa crisi dagli sbocchi imprevedibili. Fra l’altro le elezioni che fanno parte del pacchetto di misure dell’art. 155 potrebbero confermare sostanzialmente il quadro attuale (un appoggio all’indipendentismo tra il 40 e il 50 per cento), e forse anche riflettere un aumento dei consensi, come conseguenza di una reazione di rigetto della sospensione dell’autonomia, anche da parte di un elettorato finora non indipendentista. In ogni caso, senz’altro le cose peggioreranno, e forse molto, prima che si possa trovare una soluzione che salvi nello stesso tempo l’integrità dello stato spagnolo e l’autonomia catalana, da oggi sospesa ma che sarebbe irrealista pensare di mantenere a lungo commissariata a meno che a Madrid non si decida di ricorrere a livelli di repressione estremi. Una repressione che senza dubbio permetterebbe allo stato spagnolo di imporsi con la forza, ma da cui la democrazia spagnola non potrebbe sperare di emergere intatta.