Repubblica 28.10.17
Tra i percorsi di inserimento offerti da Garanzia Giovani gli stage sfondano quota 70%. Un fenomeno unico in Europa
Impieghi “mascherati” da tirocinio solo il 26% si trasforma in contratto
di Marco Patucchi
ROMA.
Doveva essere una porta di ingresso, possibilmente un portone. Invece
somiglia sempre di più ad una vetrina attraverso la quale guardare un
mondo agognato ma irraggiungibile per i ragazzi italiani. Quello del
lavoro. Ed è forse per questo che ogni aggiornamento numerico di
Garanzia Giovani rimane volutamente nascosto nelle pieghe del web, senza
partecipare alla cornucopia comunicativa dei dati statistici del nostro
Paese. Una specialità che - tra comunicati stampa di Istat, ministeri,
Inps, Bankitalia e altri soggetti - sforna ogni giorno di tutto e di
più, sovrapposizioni comprese.
Qualche giorno fa, per dire,
l’Anpal ha confezionato il rapporto trimestrale sull’attuazione di
questo strumento, pensato dall’Europa e attuato dai singoli Stati per
facilitare l’accesso all’occupazione per chi ha tra i 15 e i 29 anni,
non studia e non lavora. Insomma, gli oltre due milioni di Neet ,
un’altra specialità italiana. Dentro il Rapporto (rintracciabile sul
sito dell’Agenzia delle politiche attive del lavoro) c’è una sequenza di
numeri, che inchioda l’Italia alla retroguardia dei Paesi europei in
fatto di speranza lavorativa: ebbene, l’aggiornamento al secondo
trimestre 2017 ci dice che oltre il 70% delle 438 mila proposte di
politica attiva (su un totale di 900 mila giovani presi in carico da
Garanzia Giovani considerando anche i servizi di orientamento e di
accompagnamento), è rappresentato dai tirocini extra-curriculari
(svolti, cioè, non durante lo studio). Percentuale seguita a distanza
siderale dalle altre fattispecie (bonus occupazione 14,6%; formazione
8,1%; reinserimento in percorsi formativi 4,6%; servizio civile 1,9%;
autoimpiego e autoimprenditorialità 0,4%; mobilità professionale e
apprendistato entrambi allo 0,1%).
Quel debordante 70% racconta
l’ennesima scorciatoia imboccata dalle imprese italiane che troppo
spesso spacciano per tirocinio (500 euro al mese di compenso, senza
contributi e tutele e, per di più, nel caso di Garanzia Giovani
finanziati in parte dalla collettività) rapporti di lavoro veri e
propri. «Lavori mascherati da tirocinio - spiega Francesco Seghezzi,
ricercatore del centro studi Adapt - . Basti vedere la tipologia della
stragrande maggioranza delle offerte nel sito di Garanzia Giovani:
edilizia, ristorazione, pulizia domestica... E va considerato anche un
altro fattore che finirà per favorire questa forma di utilizzo improprio
del tirocinio: le nuove linee guida del governo, che le Regioni
adotteranno entro novembre, prevedono la durata di dodici mesi
rinnovabili di altri dodici, mentre prima erano sei più sei. Due anni in
tutto, un incentivo per il datore di lavoro che vuole usarli per
coprire esigenze occupazionali tradizionali ». Una scorciatoia che
sarebbe più tollerabile se almeno rappresentasse l’anticamera
dell’assunzione, ma sono ancora i numeri del Rapporto Garanzia Giovani a
spegnere ogni ottimismo, se è vero che solo il 26,7% dei tirocini si
trasforma in un contratto di lavoro. Non sarà un caso, d’altro canto, se
la percentuale delle risorse allocate nei tirocini rispetto alle altre
forme di percorso, nel nostro Paese è a quota 54% contro il 13% della
media europea.
«È indubbiamente una patologia tutta italiana -
dice Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil - soprattutto nel
caso dei tirocini finanziati. Il che significa finanziare la precarietà.
Credo che una soluzione sarebbe quella di renderli gratuiti, così da
rappresentare davvero un percorso formativo, una sorta di prolungamento
dell’alternanza scuola-lavoro. O, all’opposto, fissare un compenso così
alto da disincentivarne l’utilizzo improprio».