sabato 28 ottobre 2017

Repubblica 28.10.17
Strage dei bambini adesso indaga la Procura militare
Per la morte di 268 migranti nel naufragio del 2013 a poche miglia dalla nave Libra l’accusa è di omissione di soccorso
di Fabrizio Gatti

Il procuratore De Paolis ipotizza anche il reato di omicidio di civili stranieri La storia è al centro del docufilm “Un unico destino”. Ancora venti giorni per il verdetto
IL LUNGOMETRAGGIO
“Un unico destino” è il docufilm che svela le verità nascoste sulla strage nel Mediterraneo del 2013, attraverso le storie di tre medici siriani che in quel naufragio hanno perso i figli. Prodotto da l’Espresso, Repubblica e Gedi Divisione Digitale in collaborazione con 42° Parallelo, è andato in onda su Sky Atlantic e Sky Tg24. È anche una webserie in cinque puntate, online su L’Espresso e Repubblica

IL PUBBLICO Ministero Santina Lionetti non si muove di un millimetro: l’inchiesta sul naufragio dei bambini va archiviata subito, non servono nuove indagini, dice durante l’udienza a porte chiuse, perché gli ufficiali della Guardia costiera e della Marina non hanno commesso nessun reato. Ma poco importa: se la Procura di Roma continua a non vedere nulla di illecito nelle cinque ore di inutile attesa dei soccorsi a poche miglia da nave Libra, o nell’ordine dato alla comandante Catia Pellegrino di allontanarsi e andare a nascondersi con il suo pattugliatore, adesso l’inchiesta l’ha aperta la Procura militare. Due i reati contestati dal procuratore Marco De Paolis, per il momento contro ignoti: omissione di soccorso secondo l’articolo 113 del codice penale militare e omicidio di civili stranieri, secondo l’articolo 185 del codice penale militare di guerra. È la novità della giornata.
La notizia la annuncia il giudice per le indagini preliminari, Giovanni Giorgianni. Comincia così la camera di consiglio in cui ieri mattina, al Tribunale di Roma, per tre ore la pubblica accusa e i difensori degli indagati, uniti negli intenti, cercano di convincerlo a chiudere per sempre il caso. Mentre i legali delle parti offese, i papà sopravvissuti che hanno perso i loro bambini, spiegano carte alla mano che il più grande massacro di innocenti in cui sono formalmente indagati i militari italiani si doveva e si poteva evitare. E se non è stato evitato, se «esiste una legge del mare che di fronte al rischio per la vita umana impone alla nave più vicina di intervenire, bisogna capire se ci sono delle responsabilità personali», giusto per usare le stesse parole del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, nell’intervista a Repubblica di qualche giorno fa.
È il viaggio raccontato nel film Un unico destino, prodotto da Espresso e Repubblica con 42° Parallelo e Sky: la traversata del peschereccio con 480 persone a bordo, trenta famiglie di medici, cento bambini, inseguito e preso a mitragliate da una motovedetta libica e colato a picco a 61 miglia a Sud di Lampedusa. Erano le 17.07 dell’11 ottobre 2013: 268 morti annegati, tra cui 60 bambini.
Gli ufficiali, tutti presenti, ascoltano in silenzio. Quattro sono sotto inchiesta per omicidio con dolo eventuale. Tre per omissione di soccorso. La più famosa tra gli indagati per omicidio ha il volto stanco e tirato. È Catia Pellegrino, 41 anni, allora comandante di nave Libra. Il più alto in grado è l’ammiraglio in congedo Filippo Maria Foffi, 64 anni, fino al 2016 comandante in capo della Squadra navale della Marina. «I bambini morti devono stare fuori da questa aula», dice a un certo punto uno dei difensori degli ufficiali. L’interprete traduce all’orecchio di Youssef Wahid, 55 anni, medico siriano arrivato dalla Svizzera, sua nuova casa, per assistere all’udienza accanto all’avvocato Arturo Salerni. Chissà che effetto fa al dottor Wahid, lui che su quel peschereccio c’era e di bambini ne ha persi quattro: tutte le figlie che aveva. Dei 212 sopravvissuti, 211 se ne sono andati dall’Italia. Soltanto Mohialddin Al Hamouri, 31 anni, gommista, è rimasto. Ascolta la discussione, dietro il suo avvocato Dario Belluccio. Dal pomeriggio dell’11 ottobre 2013 ogni volta che si addormenta vede bambini morti cadergli addosso. Si risveglia dall’incubo. Si riaddormenta. Si risveglia. Va avanti così da quattro anni. Sotto la pelle del collo conserva la scheggia delle pallottole sparate dalla motovedetta libica.
Adesso tocca ad Alessandra Ballerini e a Emiliano Benzi. Sono i legali che assistono Mazen Dahhan, 40 anni, Mohanad Jammo, 44, e Ayman Mostafa, 42, i medici di Aleppo che nel film raccontano la storia di tre padri e dei loro figli rimasti in fondo al mare. L’avvocato Ballerini ricorda il verbale di interrogatorio in cui Francesco Marras, comandante (non indagato) al di sopra di Catia Pellegrino quel pomeriggio, dichiara: se «sto transitando in area e ho notizia di una scena di ricerca e soccorso sul luogo, chiaro, sono un pirata se faccio finta di niente e me ne vado». Dopo tre ore di discussione il giudice chiede venti giorni di tempo per valutare la richiesta di nuove indagini. E stabilire finalmente chi sono i pirati e chi sono le vittime del grande massacro.