Il Fatto 28.10.17
Odiato da Calvino, lo Scalfari fascista non finisce mai
Lo
scoop di “MicroMega” (stesso gruppo di “Repubblica”): studiando le
lettere dello scrittore, uno storico ritrova due articoli inediti
dell’allora Fondatore in camicia nera
di Fabrizio d’Esposito
Era
il 1942, un anno e mezzo prima della caduta del Duce. A Roma, a giugno,
nasce il Partito d’Azione, ma in quel mese Eugenio Scalfari è ancora
mussoliniano e firma articoli per Roma Fascista, giornale del Guf, gli
universitari in camicia nera che annoveravano anche Giorgio Napolitano.
Scalfari ha 18 anni e in quel tempo si scambia lettere con il coetaneo
Italo Calvino, che gli scrive pure: “Nella merda fino a quel punto non
ti credevo. Ti conoscevamo come uno disposto a tutto pur di riuscire, ma
cominci a fare un po’ schifo”.
La corrispondenza con il futuro
scrittore – di cui solo le sue lettere sono note, pubblicate nel Duemila
per Mondadori, ma non quelle del giornalista – torna d’attualità per lo
scoop storico rivelato ieri da MicroMega: due articoli inediti di
Scalfari giornalista fascista. Uno apparso su Gioventù Italica, l’altro
su Conquiste d’Impero. L’autore della scoperta è Dario Borso, professore
della Statale di Milano, che sta effettuando una vasta ricerca su una
delle questioni più dibattute in questa epoca repubblicana, al centro di
libri, convegni e migliaia di pagine di giornale: gli intellettuali
italiani prima del 25 luglio 1943. Tra cui, appunto, Eugenio Scalfari,
direttore e fondatore di Repubblica.
Gli articoli ritrovati da
Borso hanno innanzitutto un valore cronologico non secondario. Il
Fondatore, infatti, ha sempre sostenuto di aver cominciato a scrivere
per Roma Fascista nella seconda metà del 1942. Ma come si evince da due
lettere di Calvino (21 aprile e 21 maggio), Scalfari già firmava su
Gioventù Italica e Conquiste d’Impero nella prima parte del 1942. Borso
ha quindi scavato e riportato alla luce i due articoli inediti.
Il
primo è intitolato L’elemento “tragedia” nell’animo umano, sul numero
di marzo-aprile del 1942 di Gioventù Italica, organo della Gioventù
Cattolica Italiana diretto da Luigi Gedda. Sei anni dopo, nel 1948,
Gedda sarà il mastino democristiano dei famigerati comitati civici che
si mobiliteranno, vincendo, alle elezioni politiche contro il fronte
socialcomunista. MicroMega riporta uno stralcio dell’articolo, che si
conclude così: “Noi vogliamo un Uomo migliore fra altri Uomini migliori,
e fidiamo nella forza della tragedia (s’intenda: della tragedia non del
dramma) per giungere a questo risultato. La tragedia come concertazione
scenica deve rinascere e rinascerà. Essa sarà essenzialmente religiosa e
avrà compito religioso: scoprire Dio nell’Uomo”.
Certamente più
interessante è il secondo stralcio, stavolta da Conquiste d’Impero,
mensile diretto da Corrado Petrone. Il numero del giugno 1942 è dedicato
alla selezione dei quadri fascisti e alla formazione di un’aristocrazia
di popolo.
E qui è utile riportare il passo finale della nota di
Paolo Flores d’Arcais che precede lo scritto di Borso. Il direttore di
MicroMega dopo aver premesso che la sua rivista fa parte del gruppo
editoriale dell’Espresso, oggi Gedi, dà questa chiave alla pubblicazione
degli inediti: “Come Borso mi ha scritto nel biglietto di
accompagnamento di questa scoperta storico-giornalistica: ‘Quello che mi
premerebbe passasse come messaggio, è che tutti sbagliamo, soprattutto
in gioventù, ma la maturità dell’adulto, per non dire dell’anziano, sta
nell’ammettere i propri errori, e non per se stesso, ma per le
generazioni a venire (altrimenti a tramandarsi è la finzione ecc.)’”.
Ora,
questo è un punto decisivo, perché si dà per scontata la maturità
intellettuale dell’anziano Scalfari, classe 1924. Invece colpisce e
sconcerta il filo unico che lega quel pezzo dell’ormai lontanissimo 1942
allo Scalfari azionista nonché renziano di due settimane fa su
Repubblica. L’argomento è l’oligarchia contrapposta alla democrazia.
Scriveva Scalfari: “Lo Stato moderno, non fosse altro che per ragioni
pratiche, deve essere essenzialmente gerarchico e aristocratico, e in
esso l’individuo deve sentirsi intimamente responsabile dell’incarico
che gli compete. (…). Noi aborriamo da una società tutta allo stesso
livello, composta di grandi steli d’erba e di piccole querce; (…) La
battaglia spirituale è già stata iniziata, grazie all’opera e alle
direttive precise del DUCE, fin dai primi anni del Fascismo. A noi
spetta il condurla a compimento”.
Ha scritto dunque Scalfari
domenica 15 ottobre su Repubblica, difendendo il Fascistellum, la legge
elettorale voluta da Renzi: “La democrazia non ha mai affidato i poteri
al popolo sovrano e quindi la sovranità è affidata a pochi che operano e
decidono nell’interesse dei molti. È sempre stato così nella storia che
conosciamo”.
Tra i due brani passano 75 anni ma la passione per
il governo aristocratico non è mai passata. Dov’è la maturazione? Senza
dimenticare i giudizi tranchant delle lettere di Calvino nel 1942,
contro “il vivaio giovanile” fascista rivendicato da Scalfari:
“Stai
diventando un fanatico, ragazzo mio, stai attento. Ti stai esaltando di
queste idee, tanto da montarti la testa. Curati. Distraiti”.
“Quando
la finirai di pronunciare al mio cospetto frasi come queste: ‘Tutti i
mezzi son buoni pur di riuscire’ ‘seguire la corrente’ ‘adeguarsi ai
tempi’? Sono queste le idee di un giovane che dovrebbe affacciarsi alla
vita con purezza d’intenti e serenità d’ideali?”.
“Me ne frego che
tu ti offenda e mi risponda con lettere aspramente risentite (oltre che
scemo sei pure diventato permaloso), quello che ho da dirti (e te lo
dico per il tuo bene) si compendia in una sola parola: PAGLIACCIO!”.