Repubblica 27.10.17
Lasciate che i ragazzini tornino a casa da soli
di Chiara Saraceno
LA
PRETESA che i ragazzini delle medie debbano essere consegnati ai
genitori o comunque a un adulto da questi delegato e non possano tornare
a casa da soli è un insulto al buon senso, prima che un ulteriore
vincolo posto all’organizzazione quotidiana delle famiglie, in primis
delle madri. Potrebbe sembrare una pretesa da buon tempo antico, se non
fosse che una volta i bambini erano lasciati molto più autonomi e più
precocemente, nell’andare e tornare da scuola, ma anche nell’andare ai
giardini o a trovare i nonni nelle vicinanze, o a comperare il pane o il
latte. Ed i più grandicelli potevano, e dovevano, accompagnare i
fratelli più piccoli, senza aspettare di essere maggiorenni, come invece
succede oggi.
Di antico, in questa pretesa, c’è l’ovvia
aspettativa che nelle famiglie ci sia sempre un adulto - per lo più la
mamma - che non ha impegni di lavoro, ma anche di cura di altri
familiari, che gli impediscano di trovarsi fuori scuola a metà giornata e
di accompagnare i figli non ancora quattordicenni dovunque. Il tutto in
un contesto in cui le scuole a tempo pieno sono in via di riduzione
anche alle elementari e pressoché inesistenti alle medie. Se si dovesse
dunque seguire l’interpretazione che dà la Corte di Cassazione alla
norma sull’incapacità degli studenti fino ai quattordici anni, non solo i
ragazzini con lo zaino in spalla e lo smartphone in mano ma anche i
bambini che cominciano i primi anni di studio non potrebbero più andare a
prendere il latte da soli. Perché, se malauguratamente succedesse un
incidente, scattarebbe una denuncia per abbandono di minore.
A
differenza di quanto ha dichiarato la ministra Valeria Fedeli, i ragazzi
non potrebbero imparare a diventare autonomi neppure nel pomeriggio.
L’eccesso di protezione, la difficoltà ad accettare i rischi
dell’autonomia (ovviamente avendo educato alla stessa), unita alla
tendenza allo scarico di responsabilità quando qualche cosa va storta,
sono fenomeni ahimè tutti contemporanei e molto accentuati nel nostro
Paese.
Le città europee sono piene di ragazzini che vanno a scuola
da soli, prendono il tram, vanno in palestra senza essere accompagnati.
I loro genitori, i loro insegnanti, le loro collettività non sono più
irresponsabili della nostra, solo più fiduciosi nella propria capacità
di insegnare a diventare responsabili. Forse sono anche meno disponibili
allo scaricabarile. Perché, se un genitore pretende che la scuola
riconosca l’autonomia dei ragazzi e l’impossibilità dei genitori stessi
di essere continuamente presenti quando i figli si muovono, ma poi è
pronto a denunciare l’istituto se qualche cosa succede nel tragitto
verso casa, è inevitabile che la scuola si protegga. E imponga, appunto,
la presenza della madre o del padre, o comunque di un adulto.
La
norma che definisce i ragazzi sotto i quattordici anni legalmente
incapaci è stata probabilmente pensata dal punto di vista della loro —
cioè dei ragazzini — responsabilità penale, non per tenerli
costantemente sotto una campana di vetro. Se invece l’interpretazione
giusta è quest’ultima, come sembra di capire dalla sentenza della Corte
di Cassazione, la norma va cambiata, come da tempo è chiesto dai
presidi, ma non solo. E gli adulti dovranno prendersi la responsabilità,
ciascuno nel proprio campo e ruolo, di insegnare ai ragazzi ad essere
responsabili, a gestire appropriatamente l’autonomia conquistata.