Repubblica 26.10.17
Tra forzature e declino istituzionale il triste finale di una legislatura
di Stefano Folli
IL
MOMENTO in cui il senatore a vita Napolitano ha preso la parola
nell’aula del Senato meriterebbe di essere ricordato come uno dei
passaggi significativi nella storia istituzionale del paese.
Sfortunatamente è la storia di un declino, riassunto nelle linee di una
riforma elettorale che l’ex capo dello Stato ha criticato a fondo nel
merito, pur riconoscendo prioritaria l’esigenza di garantire la
stabilità (come sempre, del resto). E la stabilità implica in primo
luogo di non far cadere il governo. Ma Napolitano ha introdotto un
particolare elemento nella sua analisi che non può passare sotto
silenzio perché descrive l’atmosfera in cui si chiude questa legislatura
e si annuncia la prossima.
Si tratta delle “pressioni improprie”
subite dal presidente del Consiglio Gentiloni. Pressioni affinché fosse
posta immediatamente la fiducia sia alla Camera sia al Senato, quando
era noto che Palazzo Chigi non voleva entrare nella mischia: peraltro
dietro prezioso suggerimento del Quirinale. Pressioni quindi volte a
strozzare il dibattito in Parlamento e alterare la normale dialettica
maggioranza/opposizione su un punto cruciale come la legge elettorale.
Queste pressioni - come hanno compreso tutti dentro e fuori dell’aula -
sono venute dal leader del Pd, Matteo Renzi. E quindi il quadro
descritto da Napolitano racconta una storia drammatica.
Un
presidente del Consiglio costretto di fatto a compiere un atto
istituzionale in cui non crede, dal momento che ne vede tutte le
conseguenze negative. Un ex premier, Renzi, che non esita a sacrificare
un amico leale per inseguire un suo progetto di potere che si proietta
sulla prossima legislatura. Un presidente della Repubblica in carica,
Mattarella, silenzioso ma sempre più preoccupato per l’oggi e per il
domani. Infine una legge elettorale la quale, nel più classico caso di
eterogenesi dei fini, rischia di indebolire e forse disintegrare il Pd
in tutti i collegi del Nord, dove il centrodestra Berlusconi-Salvini è
molto forte.
Le parole dell’anziano presidente emerito sono un
atto evidente in difesa delle istituzioni; e pazienza se berlusconiani e
Cinque Stelle preferiscono continuare nelle loro annose polemiche. Quel
che è certo - e Napolitano non lo ha detto perché esulava dal tema
legge elettorale -, le “pressioni improprie” sono continuate anche in
altri ambiti; anzi, sono diventate via via più insistenti. Riguardano
Gentiloni ma investono, sia pure in forma indiretta, il ruolo di
Mattarella. È noto che sulla nomina del governatore della Banca d’Italia
si è svolto nei giorni scorsi un duro confronto fra Quirinale e Palazzo
Chigi, da un lato, favorevoli alla conferma di Visco e Renzi,
dall’altro, contrario. Pochi credono che la tensione si sia stemperata
nelle ultime ore. E si potrebbe continuare citando altri punti su cui
Renzi e Gentiloni non sono d’accordo (ad esempio le pensioni). Nel senso
che il primo pensa alla campagna elettorale e il secondo alla coerenza
dell’azione di governo, specie quando è in gioco il rapporto con
l’Europa.
SI DIRÀ che il capo del partito di maggioranza relativa
ha ben il diritto di influenzare le politiche del governo sostenuto dai
suoi voti. Il problema è che i vari piani e le relative responsabilità
si sono mescolati ormai in modo opaco. C’è il piano politico e quello
istituzionale, ma in questi giorni troppe volte gli steccati sono
saltati. Di fatto Gentiloni tende ad allontanarsi da Renzi e trova in
Mattarella una sponda istituzionale di cui non può e non vuole fare a
meno.
Si capisce allora cosa è avvenuto ieri a Palazzo Madama. I
cinque voti di fiducia hanno reso esplicito quel che è risaputo: ogni
volta che serve, i voti di Denis Verdini arrivano a puntellare la
maggioranza. Quando sono determinanti, come sulla legge elettorale, si
dimostra che questa stessa maggioranza ha cambiato di segno. Tanto più
che il gruppo di Mdp da tempo, non certo da ieri, si è chiamato fuori.
La novità, semmai, è che un altro manipolo di senatori Pd non ha votato
la fiducia. Quindi la legge passa a costo di “pressioni improprie” poco
trasparenti, nonché di ulteriori lacerazioni nel tessuto del
centrosinistra. Ecco perché gli ultimi mesi della legislatura vedono una
convergenza stretta fra Gentiloni e Mattarella: è la via obbligata per
puntellare l’equilibrio generale e preparare una nuova legislatura che
sarà difficile per tutti.