il manifesto 26.10.17
Le contraddizioni del voto di fiducia di Napolitano
di Massimo Villone
Solo
una vittoria travolgente del Pd nel resto del paese potrebbe
riequilibrare il disastro. E non sembra davvero che ce ne siano le
condizioni. Non con un partito sfatto, e competitors agguerriti in
campo. Sfugge altresì la razionalità della scelta del governo che
concede al Pd le questioni di fiducia. Essendo evidente che l’unica
ragione è nella fretta di Renzi di sciogliere appena possibile e correre
al voto. Con l’obiettivo di cacciare quanto prima Gentiloni da Palazzo
Chigi, meglio se un po’ ammaccato da vicende come quella di Bankitalia.
Non
sembra quindi del tutto da condividere la considerazione di Napolitano
sulla fiducia. Si esprime contro, ed è apprezzabile. Motiva dicendo che
non è giusto caricare la responsabilità sul governo. Vero. Ci informa
che il premier è stato sottoposto a forti pressioni. L’avevamo
sospettato.
Tuttavia, Gentiloni poteva dire no. Palazzo Chigi val bene un diniego, ogni tanto.
Non
condividiamo il richiamo di Napolitano al Mattarellum. In un contesto
che si riteneva bipolare ha avuto un rendimento che molti considerano
buono, ma lo avrebbe oggi, in un sistema che bipolare non è? E non è
chiaro il rischio di favorire le spinte all’egoismo territoriale e alla
separatezza, manifestate da ultimo con i referendum del lombardo-veneto?
Non dimentichiamo che il Mattarellum ha accompagnato e sostenuto la
crescita della Lega nel Nord.
E comunque il Rosatellum è peggiore –
e non di poco – del Mattarellum. Forse potrebbe meritare persino un
coraggioso voto contrario. Ma Napolitano dice che esprimerà nel voto
finale la sua fiducia a Gentiloni. Quindi voterà sì, in specie per
sostenere la continuità nell’azione per le riforme. Lo capiamo, perché
di quella azione Napolitano è stato protagonista. Ma il dissenso è
netto. Perché l’asse portante è stata frantumato dal popolo con il voto
del 4 dicembre 2016. Se c’è una cosa in cui c’è bisogno di radicale
discontinuità, quella è proprio l’azione riformatrice.
Già
circolano sofisticate analisi per cui dopo il voto verrebbe la grande
coalizione Renzi-Berlusconi, con un respiro di legislatura. Uno scenario
possibile, ma certo non il solo. Anzitutto, c’è da dire che Berlusconi,
se vincesse dopo aver unito il centrodestra, vorrebbe certo sfruttare
la posizione. E se fosse in grado di raccattare una maggioranza con
qualche cambio di casacca, qualche ravvedimento operoso e ritorno alla
casa madre? Vedremo.
È intanto più utile considerare cosa accade a
sinistra del Pd dopo il Rosatellum 2.0. La sinistra sparsa, se riuscirà
a mettersi insieme e sfuggire alle sirene della soglia al 3%, sarà in
qualche modo in una posizione di forza rispetto al Pd. Infatti, concorre
solo sulla parte proporzionale: che ci sia o meno un accordo con il Pd
nulla cambia. Invece, per il Pd avere un accordo con la sinistra sparsa
può cambiare, e molto, perché può significare la vittoria o la sconfitta
in un indeterminato numero di collegi.
Ne possono venire
strategie diverse. Ma è anche l’occasione per la sinistra a sinistra di
correre in piena autonomia, cercare una propria identità, competere fino
in fondo, e spingere per un cambiamento vero nel Pd, che ci liberi
dell’equivoco di un partito che si dice di sinistra e fa politiche di
destra.
In fondo, per avere nuova vita a sinistra bisogna
rottamare il Pd. Il Rosatellum 2.0 è un passo in questa direzione.
Forse, dovremo un giorno esser grati a un governo clone dispensatore di
fiducie ed a parlamentari di servile obbedienza. Sappiamo che la storia
vive di paradossi.