Repubblica 26.10.17
Verdini e la Lega salvano il governo
I loro voti decisivi per approvare la legge elettorale
ROMA.
Il Rosatellum ieri ha passato l’esame delle cinque fiducie al Senato.
Ma in soccorso del Pd per approvare la legge elettorale sono arrivati i
voti, decisivi, di verdiniani e Lega. A complicare la partita, le
defezioni tra i dem. Mentre Giorgio Napolitano, nel suo intervento in
aula, ha criticato il ricorso alla fiducia, denunciando pressioni sul
premier. E domani arriverà il nome deciso dal Consiglio dei ministri per
il governatore di Bankitalia: Gentiloni per la riconferma di Visco.
Entra
in scena a fine giornata Roberto Calderoli, l’autore del fu-Porcellum,
legge elettorale dal 2005 al 2013. Con altri sette leghisti vota in
Senato un bel no alla fiducia, la quinta sulla nuova legge elettorale,
il Rosatellum. Ma non è un atto d’ostilità, bensì una ciambella di
salvataggio per raggiungere il numero legale, che ha oscillato. Senza
numero legale il voto di fiducia non sarebbe stato valido, sarebbe stato
come giocare in fuorigioco. Calderoli è soddisfatto: al Carroccio il
Rosatellum piace. Matteo Salvini, il leader leghista, pensa di fare
cappotto di collegi al Nord e già progetta il governo: «Mai con il Pd.
Esclusi accordi con la sinistra, se non fosse sufficiente il
centrodestra - dice confermando un feeling più volte negato - parlo
anche con i 5Stelle, perché no?».
I voti in aula filano lisci,
nonostante caos e insulti, un tentativo di ostruzionismo dei 5Stelle.
Cinque fiducie al Rosatellum votate con numeri che sta ai segretari
d’aula dei partiti - e al senatore Francesco Russo del Pd in particolare
- sorvegliare. Forza Italia aiuta molto, calibrando assenze e presenze
per il numero legale. La prima fiducia passa con 150 sì e 61 no. Il
numero legale – calcolato in base ai presenti rimpolpati dagli assenti
giustificati – è a 133. La fiducia sull’articolo 2 passa con 151 sì e 61
no.
Però la partita si complica. Servono i voti dei verdiniani a
garantire il numero legale che è salito a 144. Diventano determinanti i
13 (uno è assente) senatori di Ala. Senza di loro non sarebbe tranquilla
la navigazione del Rosatellum con fiducia, visto che Mdp è uscito
formalmente dalla maggioranza e vota contro. Non solo i demoprogresisti
dicono no, ma aspettano di vedere se alla “prima chiama” (i parlamentari
vengono chiamati due volte a ogni fiducia) il numero legale c’è. Se non
ci fosse stato, loro avrebbero favorito il “fuorigioco”.
La
fiducia numero tre è di 148 sì e 61 no. La quarta di 150 sì e 60 no.
Numero legale a 144. Alla quinta, un po’ di panico ed è qui che i
leghisti offrono soccorso. Oggi al voto finale che renderà il Rosatellum
legge, la maggioranza sarà ampia: Pd, Ap, centristi, verdiniani, FI e
Lega. Non la voteranno 7 dissidenti dem, tra cui Vannino Chiti, Massimo
Mucchetti, Walter Tocci e Luigi Manconi. Chiti viene fermato dai
cronisti. Domanda: «Lei non vota il Rosatellum perché è il suicidio del
Pd al Nord?». Il riferimento è alla simulazione circolata in questi
giorni in cui i Dem vincerebbero pochi o addirittura zero collegi. Poco
prima era andato a stringere la mano a Giorgio Napolitano. Il discorso
più atteso, quello dell’ex capo dello Stato, un monito contro la
politica dei personalismi e la miopia di chi non riesce a sollevare lo
sguardo dalle «nevrosi di fine legislatura». Un sì al governo Gentiloni,
ma giudizio severo sulle pressioni per la fiducia. Una reprimenda al
segretario del Pd, Matteo Renzi.
Il presidente del Senato Pietro
Grasso mantiene nervi saldi nel caos dell’aula. Il grillino Vito Crimi
gli chiede con tono di sfida perché non se ne sia andato, candidandosi
in Sicilia. Lui risponde: «Può essere più duro resistere, piuttosto che
accettare una fuga vigliacca. Si può esprimere il malessere ma non è
detto che, quando si ha il senso delle istituzioni, si debba obbedire ai
propri sentimenti ».