Repubblica 25.10.17
E nel ring di Palazzo Madama alla fine spunta anche Lenin
Il Pd Tronti ricorda al Senato i cento anni della rivoluzione russa
Senatore Pd. Il filosofo Mario Tronti, 86 anni, senatore del Pd, negli anni Sessanta è stato uno dei padri dell’operaismo
di Concetto Vecchio
ROMA.
Nel fuoco del dibattito sulla legge elettorale, mentre il Senato è un
coacervo di umori, dai banchi del Partito democratico un senatore dai
capelli bianchi chiede al presidente Grasso di poter prendere la parola:
Mario Tronti. «Vi chiedo un momento di attenzione. In mezzo ai lavori
convulsi di questi giorni, una pausa di riflessione può fare bene»,
premette con voce educata.
Cosa ha da dire il vecchio filosofo,
teorico di un filone di pensiero - l’operaismo - che oggi non dice quasi
più nulla a chi occupa gli scranni di quest’aula? Vuol parlare di
Lenin. «Il 24 ottobre 1917, secondo il calendario giuliano, esplodeva
nel mondo la rivoluzione in Russia», dice. «Sono consapevole che questo
arrivi a turbare la sensibilità di alcuni, e di alcune, che
legittimamente possono nutrire, nei confronti di quell’evento una
ostilità assoluta. Ma siamo a cento anni da quella data, e possiamo
parlarne, come io intendo parlarne, con passione e allo stesso tempo con
disincanto. Qui a palazzo Madama, soprattutto nella prima legislatura,
presero posto alcuni protagonisti che avevano vissuto quella storia in
prima persona: questo mio ricordo vuole essere anche un omaggio a questi
padri».
Ha 86 anni. Nel 1963 si allontanò dal Pci per fondare
Classe operaia: all’epoca, nei partiti di massa, si divorziava per le
idee. «Senza la Grande guerra non ci sarebbe stata la grande rivoluzione
», spiega. E cita il trattato di Brest Litovsk, evoca il Lenin dei
«soldati operai e contadini russi non sparate sui soldati e contadini
tedeschi, ma voltate i fucili e sparate sui generali zaristi». E mentre
tutti si accapigliano sulla fiducia al Rosatellum Tronti sale in
cattedra: «Se la democrazia è infatti il
kratos in mano al demos,
il potere in mano al popolo, quale strumento più democratico dei soviet,
dei consigli degli operai e dei contadini? Ma attenzione i soviet
dovevano farsi Stato, dovevano assumere l’interesse generale. Il fatto
che invece di farsi Stato si sono fatti partito, chissà che non sia
stato questo il vero punto di catastrofe dell’intero progetto».
Dice
ancora qualcosa ai più il comunismo? Tronti rammenta che ogni
rivoluzione sfocia «storicamente nel terrore, non solo le rivoluzioni
proletarie, anche quelle borghesi, la rivoluzione americana, per
produrre la più stabile democrazia del mondo, è dovuta passare per una
terribile guerra civile». Quindi: «Rivoluzione e guerra, rivoluzione e
terrore sono dunque inseparabili? Dobbiamo per questo rinunciare al
tentativo di una rivolgimento totale. Occorre rassegnarsi alla pratica
di cosiddette riforme graduali, che però non riescono a minimamente
mettere in discussione il rapporto, che poi è un rapporto di forza, tra
il sotto e il sopra, tra il basso e l’alto della società? Questo è il
problema che ci pone ancora oggi quell’ottobre del ‘17».
Che
effetto fa ai senatori che compulsano i loro smartphone sentire Tronti
che cita un libro del «giovane Lukacs?» Alla fine il vecchio professore
ha come un soprassalto di pudore. «Mi rendo conto di parlarne con fin
troppa partecipazione. Ma vedete, io mi considero figlio di quella
storia. E francamente vi dico che non sarei nemmeno qui se non fossi
partito da lì. Qui a fare politica per gli stessi fini con altri mezzi,
senza ripetere nulla di quel tempo lontano, passato attraverso tante
trasformazioni, rimanendo identico. Vi assicuro, un esercizio
addirittura spericolato, ma entusiasmante. Se entusiasmo può esserci
ancora concesso in questi tempi tristi». Quindi conclude così: «Vi
chiedo scusa».