Repubblica 25.10.17
La rabbia di Asa Regnér “Quel politico mi molestò sfruttando il suo potere”
Parla la ministra svedese che ha denunciato gli abusi subiti anni fa ai margini di un summit europeo
di Andrea Tarquini
«PER
ANNI ho taciuto, sentendomi in colpa, adesso con #metoo mi sono data
coraggio. Dobbiamo muoverci a livello europeo». Il giorno dopo aver
denunciato un abuso subito anni fa a margine di un consulto Ue da parte
di un politico europeo di alto rango, Asa Regnér, ministra delle Pari
opportunità svedese, racconta a Repubblica la sua drammatica esperienza,
mentre il l’Europarlamento si prepara ad affrontare tra poche ore il
problema.
Come e perché ha deciso di rompere il silenzio?
«La
cosa più grande e incoraggiante, per tante donne e anche per me, è
questa campagna su Internet. Se tante donne si decidono a discutere in
pubblico del problema è importante e positivo. Anche per quanto accade
magari ogni giorno in tanti posti di lavoro. Il comportamento predatore è
una questione di potere. Dipende dal fatto che gli uomini hanno più
potere e lo usano per mantenere le donne sottomesse. Pensano di poter
approfittare di loro usandole a piacimento. Io allora ero una giovane
politica piena d’entusiasmo, avevo studiato cinque lingue e conseguito
due dottorati. Accettai l’invito di quel politico quella sera perché mi
convinse dicendo di voler discutere le mie opinioni. Invece...».
Invece?
«Invece
ingannò la mia ingenuità. E all’improvviso nel buio del locale fu
orribilmente chiaro che cercava ben altro. Per me fu uno shock. Altro
che scambio di opinioni, cercava di imporre il suo potere sul piano
sessuale».
Accade anche a livelli così alti, da uomini qualificati e colti, leader europei di rango?
«Penso
sia questione di strutture di potere. Certi istinti sono mossi dal
potere, come nelle aziende, nello sport o a Hollywood. Con #metoo
rompono il silenzio donne di ogni ceto sociale. In società dove gli
uomini hanno più potere e le donne sono viste come esseri umani
sessualizzati nel senso negativo è estremamente importante parlare e
introdurre leggi dalla parte delle donne, e le leadership europee e i
media devono sentirsi responsabili davanti all’imperativo etico della
gender equality, forse occorre rieducazione».
Perché ha taciuto tanto a lungo?
«Reagii
come molte donne in casi simili. Detti la colpa a me stessa, mi dissi
“perché mai ho pensato che voleva davvero ascoltare le mie opinioni?”.
Quando subisci un abuso del genere ti senti molto sola. E nella
posizione del debole. Quell’uomo, non voglio nominarlo, che si aprofittò
così di me era in posizione altissima nella Ue, era molto più anziano
di me, aveva ben altra esperienza politica. Simili situazioni ti gettano
in una condizione di dipendenza. È molto brutto ma è così, ti incolpi
da sola. La svolta grande è che ora noi donne non ci vergognamo più di
parlare. Dobbiamo cambiare la struttura di potere».
Lei ha proposto leggi più severe contro ogni atto sessuale senza chiaro consenso. Può spiegarci l’idea?
«Primo
di tutto è importante dire che molti casi subíti da donne anche sul
posto di lavoro non sono considerati reati penali, neanche qui da noi.
Questo va cambiato. È un paradosso: in molti Paesi ci sono legislazioni
contro le molestie sessuali, anche severe, ma accadono atti criminali,
roba da diritto penale. Nella legislazione vogliamo introdurre un chiaro
concetto di atto sessuale legittimo solo se è chiaramente volontario.
Attualmente non è abbastanza chiaro».
Il Parlamento europeo ne parlerà tra poche ore. Cosa si aspetta?
«Penso
che a livello europeo sia importnate non tanto una legislazione comune,
ma una strategia comune sulla gender equality. L’attuale Commissione
non se ne cura. Io organizzerò il 7 e 8 novembre un consulto Ue sulla
gender equality».
Non parlare non è stato doloroso quanto o più dell’aggressione?
«Penso
che per me e altre donne vittime sia importante non sentirsi sole e
capire che il responsabile è l’uomo. Spero che tutte abbiano il coraggio
di rompere il silenzio. Dopo una simile aggressione ti senti
terribilmente sola. Non faccio nomi perché non conta mettere qualcuno
all’indice, ma educare alla giustizia».