Repubblica 23.10.17
Steve Bannon era lo stratega di Trump
Anzi, lo è ancora
di Alberto Flores D’Arcais
NEW
YORK. Quando il 18 agosto scorso Steve Bannon venne cacciato dalla Casa
Bianca (dopo le marce e le violenze dei gruppi neo-nazisti a
Charlottesville), furono in molti a pensare che la incredibile carriera
da ‘eminenza nera’ dello stratega (che aveva fatto vincere le elezioni a
The Donald) avesse avuto un alt decisivo. Quando un mese fa si schierò
nelle primarie in Alabama contro il senatore uscente repubblicano
(sostenuto proprio dal presidente Trump), portando alla vittoria un suo
protetto, venne considerato definitivamente fuori dai giochi: e la sua
dichiarazione di sfida aperta («è iniziata una stagione di guerra nel
partito repubblicano») venne accolta con scetticismo dai vertici del
Grand Old Party, dall’entusiasmo (un po’ miope) dei democratici e da
qualche analisi di troppo sulla ‘svolta moderata’ del presidente.
Un
mese dopo la situazione è un po’ diversa. The Donald e il suo (ex)
profeta nel frattempo tornato alla direzione di Breitbart, il sito della
destra ‘suprematista’, razzista e alternativa che ha sempre più peso
nell’elettorato populista di Trump - non soltanto continuano a sentirsi
molto spesso (più volte alla settimana rivela il Washington Post), ma il
presidente chiede (e accoglie) oggi più che mai i consigli, ritenuti
preziosi, del suo (ex) ispiratore-principe.
Poco importa se (per
evitare la rottura definitiva con l’establishment repubblicano e i suoi
grandi finanziatori) Trump abbia deciso di appoggiare altri candidati
senatori invisi a Bannon. Quello di The Donald appare più come un gioco
delle parti che non come una scelta convinta.
Perché sa che l’uomo
che lo ha portato alla Casa Bianca (e che oggi si definisce un
‘gregario’ di The Donald) è quello che meglio interpreta gli umori del
suo elettorato.