Repubblica 22.10.17
Scorciatoie populiste gli errori più gravi del leader
di Eugenio Scalfari
DOBBIAMO
tornare sulla questione Renzi-Banca d’Italia non perché ci siano novità
ma per esaminare le conseguenze e le varie interpretazioni. In favore
di Renzi c’è un certo tipo di populismo: quei numerosi cittadini con
patrimoni e redditi alquanto limitati, che — a torto o a ragione secondo
i casi — maledicono le banche che per loro rappresentano gli interessi
di un capitalismo ladro. È assai probabile che Renzi, conoscendo questo
fenomeno che tutti conosciamo, abbia puntato su di loro per allargare la
platea dei suoi ascoltatori e sperabilmente degli elettori per il Pd.
Questa motivazione è tuttavia molto esile, rispetto alla mole dei
contraccolpi che ha suscitato e susciterà.
Il primo è la
contrarietà di una buona parte della classe dirigente del Pd, di quasi
tutta la classe dirigente del Paese e della pubblica opinione.
Il
secondo è un errore vero e proprio: gli italiani che se la prendono con
le banche hanno di mira quelle operanti sul loro territorio, qualcuna
grande e molte piccole e locali, ma non la Banca d’Italia della quale
molti ignorano le funzioni. L’attacco di Renzi invece è stato soltanto
nei confronti dell’Istituto di emissione e non alle banche e banchette
che egli anzi difende. È curiosa questa dicotomia: lui spera di ottenere
voti da chi odia le banche, ma parlando contro la Banca d’Italia
dimentica che questa ha come compito di difendere le banche in
difficoltà e di solito lo esplica.
IL terzo errore riguarda il suo rapporto con le personalità più autorevoli del Pd.
Nella
celebrazione effettuata sabato della scorsa settimana al teatro Eliseo
gremito nella platea e nelle tribune dalla parte migliore e più attiva
del partito, Renzi ha riconosciuto la necessità che il partito non fosse
chiuso ma aperto: un partito che aveva il compito di ringiovanire e
ricostruire la sua struttura e la sinistra che è in crisi in tutti in
Paesi d’Europa salvo finora in Italia. Prima di lui aveva parlato Walter
Veltroni e poi Paolo Gentiloni. Veltroni in qualche modo aveva fatto la
storia del partito, le origini, la sua cultura politica, e le sue
caratteristiche strutturali. Quando Renzi ha preso per ultimo la parola
ed ha concluso la celebrazione, ha riconosciuto a Gentiloni
un’efficiente condotta del governo di cui il Pd ha la maggioranza, e a
Veltroni addirittura una qualità di padre del partito e in qualche modo
padre della patria. Sostenendo che queste persone facevano parte insieme
a lui della dirigenza del Pd e che altre ancora ne avrebbe accolte
accanto a sé per formare una vera e propria classe dirigente con la
quale avrebbe discusso e concordato tutte le azioni importanti da
svolgere. Insomma una sorta di super direzione con la quale il partito
avrebbe avuto una guida collettiva, di cui naturalmente il segretario
era il capo riconosciuto.
Sono passati pochi giorni da quella
riunione ed è scoppiato il caso Banca d’Italia. Discuteremo a parte la
sostanza di quel caso, ma voglio ora far notare ai lettori che del resto
ne sono certamente al corrente, che Veltroni non è stato informato
minimamente dell’attacco all’Istituto di emissione e nessuna delle
personalità ne era stata informata a cominciare ovviamente da Romano
Prodi. Nessuno sapeva nulla, neanche Gentiloni che ricevette però la
mozione per sottoscriverla con l’accordo del governo.
Per fortuna
del Paese a Gentiloni quella mozione non piacque affatto così come era
stata redatta dal Renzi e dal suo “Cerchio magico”. Perciò mise al
lavoro Anna Finocchiaro per modificarla non solo nella forma ma anche
nella sostanza. Finocchiaro è molto brava in questo genere di questioni
delicatissime e riuscì a modificarla in gran parte ma non totalmente.
Tuttavia diventò accettabile per un governo come quello che abbiamo
anche se però Renzi aveva già diffuso pubblicamente il testo originario.
Quindi quello ufficiale contiene le correzioni notevoli di Finocchiaro
ma quello del partito nella sua originaria integralità è comunque stato
reso noto con tutti i mezzi di comunicazione. La reazione di Veltroni si
compendia in due parole: «Documento incomprensibile e inaccettabile ».
Oltre a lui e con analoghe motivazioni si è schierato il presidente del
gruppo Pd al Senato Luigi Zanda e molte altre personalità del partito.
Il sigillo a queste posizioni è la dichiarazione fatta da Giorgio
Napolitano che in qualche modo rappresenta e sostiene in ogni occasione
con le appropriate motivazioni il bene del Paese.
L’altro errore
compiuto da Renzi con la sua mozione è il più complicato e il più
devastante di tutti ed è la coincidenza della posizione renziana con
quella di Grillo, di Salvini e di Meloni. Questi movimenti sono
sostanzialmente populisti in una fase dove appunto populismo e
antipopulismo sono i due grandi fronti che si combattono in tutta
Europa. L’errore, di cui secondo me Renzi non si è minimamente reso
conto, è per l’appunto una sorta di populismo ancora iniziale; se questo
tipo di politica continuerà, diventerà la vera caratteristica d’un
partito nato su tutte altre basi e tutt’altre finalità. Definisco
populista l’attacco alla Banca d’Italia perché appunto Renzi cerca nuovi
elettori in fasce sociali che praticano inconsapevolmente un populismo
di notevole marca: attaccare le banche e le banchette in genere non è
una posizione seria e motivata: è un modo di pensare che cerca il male
dove non c’è o dove ci può essere ma non come categorie (banche e
banchette) ma su singoli istituti di credito e in alcune specifiche
occasioni.
Di tutto questo credo che Renzi non si sia reso conto e
proprio per questo ha compiuto un ulteriore errore dal suo punto di
vista: vuol ingraziarsi chi vede il proprio male economico nelle banche e
attacca non quelle banche ma la Banca d’Italia accusandola di far del
male al sistema mentre la funzione che la Banca d’Italia esercita e che
in larga misura effettua è proprio quella di proteggere il sistema
bancario. Si vedrà ora se Ignazio Visco, governatore dell’Istituto di
emissione sia incline a ritirarsi dalla carica o viceversa desidera
essere riconfermato per i prossimi sei anni.
Ho avuto occasione
tre giorni fa di parlare telefonicamente col governatore e posso
riferire che lui non pensa affatto di ritirarsi anche se, qualora le
autorità competenti lo pregassero di dimettersi per dar luogo a un
mutamento, lui certamente darebbe le dimissioni per comportarsi come
richiesto. Ma se questo non avverrà (e sicuramente non avverrà) il
governatore attenderà le decisioni del presidente della Repubblica,
lieto se saranno una riconferma. Spiegherà poi tutte le sue azioni con
opportune documentazioni quando sarà interrogato dalla commissione
incaricata di approfondire il funzionamento del sistema bancario
italiano.
***
Ho già scritto prima che in tutta Europa è in
corso uno scontro tra democratici e populisti. Inizialmente i movimenti
populisti europei erano di piccola taglia elettorale e rappresentavano
appunto quei piccoli gruppi di elettori i quali detestano la democrazia,
che secondo loro, è un regime che fa l’interesse di pochi e danneggia
quello del popolo sovrano. Negli ultimi tempi però questi piccoli
movimenti che spesso non arrivavano neppure ad oltrepassare la soglia di
voti che bisogna avere per entrar nei vari Parlamenti, hanno avuto una
crescita di rapidità impressionante e quantitativamente di notevole
rilievo. In tutti i Paesi d’Europa a cominciare dalla Germania,
dall’Olanda, dalla Spagna, dalla Grecia, dall’Italia. In Francia no,
questa crescita non c’è stata. Non c’è stata neppure negli otto Paesi
che non hanno la moneta comune. Essere fuori dall’Eurozona è già di per
sé un motivo di populismo monetario che consente ad essi di non
conformarsi alla politica europea ma di averne una propria che spesso è
più aperta verso Mosca che verso Bruxelles.
Il fatto della massima
importanza che da un paio di anni sta avvenendo in tutta Europa è la
trasformazione profonda della politica. Fino a un paio d’anni fa la
politica era alla ricerca di quali fossero i provvedimenti da adottare
per conseguire il bene del popolo. Il bene in tutti i sensi: maggior
benessere economico, sociale, culturale. E poi di rapporti possibilmente
amichevoli con le altre nazioni e in particolare con quelle
politicamente più importanti nel proprio continente e nel mondo intero
specie in tempi di società globale.
Infine la politica doveva
perseguire e tutelare i grandi valori della libertà e dell’eguaglianza,
senza mai abbandonare la tutela di uno di quei due valori che in quel
momento non aveva dalla sua la maggioranza del popolo, ma che non poteva
e non doveva in nessun caso scomparire. Un paese che gode della massima
libertà ma con notevole distacco dall’eguaglianza sociale deve tuttavia
tutelarne quel valore e viceversa. Una libertà senza eguaglianza affida
il bene comune ai gruppi più forti, specie economicamente, di quel
Paese se invece è l’eguaglianza a trionfare e la libertà a scomparire
siamo a un passo dalla dittatura come del resto è accaduto in Russia.
Quei
due valori sono dunque fondamentali entrambi e per mantenerli come tali
occorre realizzare il mandato che ci viene dal pensiero di Montesquieu:
una struttura politica di poteri separati l’uno dall’altro anche se al
vertice debbono condividere lo stesso obiettivo e cioè la realizzazione
del bene sociale attraverso la separazione dei poteri: quello
legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Quei poteri separati
debbono tuttavia perseguire il medesimo fine che è appunto il bene
comune e questo è assicurato da un vertice che alla tutela di quel fine è
dedicato. Di solito si tratta del presidente della Repubblica e di una
Corte non giudiziaria ma costituzionale che giudica infatti la
costituzionalità degli atti compiuti dai singoli poteri.
Per
restaurare e rinnovare la democrazia occorre un partito che col
populismo non abbia nulla a che vedere e che pensi alla politica che
abbia una P maiuscola come usava Aristotele. Quella maiuscola significa
appunto una politica che persegua il bene comune in tutti i suoi
aspetti, che non sono soltanto quelli economici e sociali, ma si
compendiano appunto nella libertà e nell’eguaglianza, entrambe tutelate
da appositi organi istituzionali. Avevamo sperato che il Pd fosse lo
strumento politico per la realizzazione o il mantenimento o la maggiore
efficienza e comunque l’atmosfera politica del Paese e del continente
cui apparteniamo e questo era infatti la finalità del Partito
democratico quando è nato dieci anni fa. E non voglio dire che sia
scomparsa questa finalità, ma dico che è in pericolo e che il Partito
democratico oscilla molto da questo punto di vista. Purtroppo Renzi ha
il carattere che ormai conosciamo. Speravo che l’avesse cambiato e ne
ero felice. Vedo che non è avvenuto ed anzi ha rifatto un passo indietro
dalla strada appena imboccata.
Ora deve scegliere tra ritorno
all’idea del partito aperto e un organo di consultazione e di attuazione
di quanto deciso, oppure populismo fino in fondo all’insegna del
“comando io” e allora, come Grillo e Salvini, diventeremo il peggio del
peggio.