domenica 22 ottobre 2017

Repubblica 22.10.17
La Sinistra e Bankitalia
Quel filo rosso mai spezzato prima
di Massimo Giannini

UN vero e proprio “divorzio”. Feroce, rancoroso, definitivo. Nelle dichiarazioni pubbliche Matteo Renzi mostra ora un’apparente moderazione: «L’eventuale riconferma di Visco non è una mia sconfitta, qualunque cosa decida Gentiloni a me va bene...». Ma nelle conversazioni private, il leader del Pd conferma la rottura totale con la Banca d’Italia. Due giorni fa, con chi gli faceva notare che il governatore sta preparando una controffensiva durissima contro di lui e Maria Elena Boschi, in vista dell’audizione in Commissione d’inchiesta, il leader del Pd non arretrava di un millimetro: «Si farà male lui, credetemi...». E a un amico che — rievocando i pasticci del Giglio Magico su Etruria e i ritardi del suo governo su “bail in” e Montepaschi — gli ricordava che “in politica chi tocca le banche muore”, rispondeva ancora più stizzito.
Parlava così, Renzi: «Antonveneta e Banca 121, non vi dicono niente? E Visco che voleva dare Etruria a Zonin ve lo siete dimenticato? A me non me ne frega nulla di morire: io sulle banche sono pulito. Per questo non sono ricattabile, per questo non schiero il Pd con i salotti buoni, ma a fianco dei risparmiatori... ».
Una posizione “di sinistra”, verrebbe da dire. Se non fosse che la sinistra italiana, storicamente, ha sempre guardato alla Banca d’Italia come un presidio istituzionale da difendere, piuttosto che un Palazzo d’Inverno da assediare. Renzi contesta anche questo, nelle sue sfuriate al Nazareno: “Tutti ipocriti, oggi, quelli che mi criticano da sinistra...”. Sullo smartphone, si dice, conserva un’agenzia del 29 agosto 2005, quando Romano Prodi capo della coalizione unionista tuonava contro il governatore di allora, travolto dagli scandali di Parmalat e dai baci in fronte con Fiorani: «Su Antonio Fazio il governo si assuma le sue responsabilità - scandiva allora il Professore - su questo l’Unione è unita: vogliamo un cambiamento di regole e anche un cambiamento nella gestione della Banca d’Italia...». E oggi, è il ragionamento renziano, «perché tutta questa indignazione per la mozione del Pd?».
Il segretario finge di non capire che in democrazia la forma è sostanza. E che un conto è contestare l’operato di un singolo governatore, un conto è mettere alla sbarra un’intera istituzione. È esattamente questo rischio che la sinistra, nei decenni passati, era sempre riuscita ad evitare. Fin dai tempi del Pci, per usare una formula gramsciana, Palazzo Koch non è mai stato una “casamatta del potere” da abbattere. I comunisti non hanno mai considerato la Banca d’Italia un “nemico di classe”. Gli attriti non mancavano: sulla legge istitutiva delle Partecipazioni Statali del ‘53, sulla nazionalizzazione dell’energia del ‘62 (quando Guido Carli cercava di convincere Riccardo Lombardi e Alfredo Reichlin a casa di Eugenio Scalfari), sulla fuga dei capitali del ‘69 (quando l’Unita’ scriveva «ancora una volta la Banca d’Italia lascia tutto lo spazio alle manovre della destra...»). Ma Enrico Berlinguer incontrava Guido Carli: una volta a Grottaferrata, nel 1970, discussero di politica monetaria guardando insieme una partita della Juventus.
Quando Baffi e Sarcinelli furono arrestati dai magistrati romani, “armati” dalla Dc andreottiana per coprire i traffici di Sindona, fu il Pci a schierarsi a difesa di Via Nazionale. Fu il Pci a tutelare la Banca dall’affondo di Craxi, che chiese la testa del governatore dopo la misteriosa operazione all’esto dell’Eni. Quando il segretario del Pci lanciò l’austerity e poi la “questione morale”, che rompeva con la stagione del consociativismo politico e del lassismo finanziario, la Banca d’Italia fu un interlocutore naturale di quella sinistra. A Botteghe Oscure personaggi come Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano non smisero mai di tessere la tela dei rapporti con via Nazionale. Carlo Azeglio Ciampi fu compagno di studi alla Normale di Pisa e amico personale di Alessandro Natta.
I “keynesiani” di Bankitalia allevati tra ufficio studi e direttorio, da Fabrizio Saccomanni a Tommaso Padoa- Schioppa e Pierluigi Ciocca, trovarono una sponda forte in quella piccola, preziosa enclave parlamentare riunita sotto le insegne della “Sinistra Indipendente”: Gustavo Minervini, Luigi Spaventa, Guido Rossi, Claudio Napoleoni, Stefano Rodota’, Filippo Cavazzuti, Vincenzo Visco. Non ci fu una sola battaglia a difesa dell’autonomia della Banca centrale che questo sparuto ma agguerrito drappello dell’elite non abbia combattuto.
Il filo diretto tra la sinistra e Via Nazionale non si è mai interrotto. Neanche negli anni più recenti. Nei primi anni ‘90 Achille Occhetto, appena “intronato” al Bottegone, va in visita a Palazzo Koch, da Ciampi. E nel ‘93, con lo stesso Ciampi presidente del Consiglio incaricato, gli manda Reichlin in missione segreta, per concordare l’ingresso del Pds nel governo. Ed è il Pds (insieme allo stesso Ciampi e a Scalfaro) a sventare la manovra berlusconiana per portare Lamberto Dini sul “soglio governatorio”. E sono i Ds ad arginare i primi attacchi di Tremonti, e poi a gettare acqua sul fuoco amico sparato nel luglio 2005 da Francesco Rutelli, che a Sergio Rizzo sul Corriere della Sera chiede praticamente “la cacciata di Fazio”. Gli risponde D’Alema due mesi dopo l’estate dei “furbetti del quartierino”, l’affare Bnl-Unipol, il famoso “abbiamo una banca” di Fassino: «Non si può sfiduciare il governatore in Parlamento, come chiede anche Enrico Letta - dice il Lider Maximo ad Alberto Statera su Repubblica - è una sgrammaticatura istituzionale... ». Sappiamo poi com’è andata a finire: Fazio travolto dallo scandalo e costretto a un’indecorosa uscita di scena. Renzi, chiedendo la “cacciata di Visco”, si fa paladino del popolo truffato dai banchieri. Non capisce che la politica, nelle crisi bancarie, non è meno colpevole della Banca d’Italia. Se da premier era così insoddisfatto degli organi di vigilanza, perché non ha convocato mai il Cicr, il Comitato per il credito e il risparmio? Per lucrare una manciata di voti, non si deve buttare via il bambino con l’acqua sporca. Per un modesto dividendo elettorale, non si può rottamare un altro pezzo di cultura politica della sinistra. Persino D’Alema, che sul credito si è bruciato più volte, disse “io non difendo Fazio, ma qualsiasi soluzione va ricercata avendo rispetto per la Banca d’Italia». E se dodici anni fa lo disse lui, che aveva nell’armadio lo scheletro di Siena, oggi dovrebbe dirlo anche Renzi, che ha sulle spalle il fardello di Etruria.