giovedì 19 ottobre 2017

Repubblica 19.10.17
Il Rosatellum con le spine
di Piero Ignazi

SI POTREBBE dire che “il modo ancor m’offende”, visto che, ancora una volta, una legge elettorale viene approvata a colpi di fiducia strozzando il dibattito parlamentare. La fiducia viene utilizzata da un governo per far approvare in fretta questioni che esso ritiene di fondamentale importanza al fine di realizzare il proprio programma; e per questo vuole evitare che le opposizioni interferiscano più di tanto. Tutto legittimo, dato che l’uso della fiducia è a totale discrezione del governo. Semmai si può ricordare che il presidente del Consiglio, nel presentare il suo governo alle Camere aveva dichiarato che si sarebbe astenuto dall’intervenire sulla materia elettorale. In aggiunta, qui non era in gioco un provvedimento vitale del governo, bensì una legge su cui due partiti di opposizione avevano dato il loro assenso di massima. Se la legge godeva di tanto sostegno, perché allora mettere la fiducia quando un dibattito parlamentare avrebbe potuto chiarire meglio il senso di alcune norme e, sperabilmente, portare qualche cambiamento? Questo interrogativo rimanda alle dinamiche interne al partito di maggioranza, non alla sostanza della legge. Ed è un altro discorso.
Ora, se il modo offende, non di meno la sostanza stessa delle legge offende la buona creanza dell’ingegneria elettorale. Il sistema delineato è, tecnicamente, un sistema misto, un po’ di maggioritario e molto di proporzionale. Nulla di inedito in quanto sistemi misti di vario genere sono emersi negli ultimi anni, anche se nessuno prevede una quota così piccola di collegi uninominali.
L’aspetto peculiare della norma italiana riguarda il collegamento tra i due sistemi elettorali prodotto dalla scheda unica. Un elettore, votando per un candidato all’uninominale, voterà automaticamente anche per lo stesso partito — o coalizione di partiti — al proporzionale. Non potrà fare una scelta diversa pur in presenza di due sistemi diversi quando proprio la compresenza di sistemi dalle logiche così diverse come il maggioritario e il proporzionale necessiterebbero di voti distinti. In Germania, dove vige un sistema in qualche misura paragonabile — pur con molti distinguo — il voto disgiunto, contrariamente a quanto incautamente dichiarato da Matteo Renzi nella sua recente intervista a Repubblica, non riguarda “l’1% degli elettori”, bensì almeno il 20%. Laddove si offrono possibilità di scelta, il cittadino le utilizza. Aver imbrigliato questo “spazio di decisione”, quando non produce effetti sistemici negativi di alcun tipo, limita la libertà di scelta. (Altri spazi di decisione come le preferenze, invece, producono gravi, e ben noti, effetti negativi).
Infine, l’altro vulnus inferto alle buone pratiche elettorali riguarda le “liste bloccate” ovvero l’impossibilità di scegliere tra i candidati nel proporzionale. Sia chiaro: nessuna nostalgia per le preferenze. Le liste bloccate sono adottate in molti Paesi e non hanno suscitato particolari problemi. Ma il diavolo sta nei dettagli. In Germania, ad esempio, le segreterie dei partiti non possono agire a loro piacimento, ma devono seguire procedure precisamente indicate dalla legge sui partiti per selezionare i candidati. Il processo decisionale è, pur senza mitizzare, trasparente e partecipato. Tutta la vita interna dei partiti deve seguire norme di legge stringenti, tra cui anche garanzie di rappresentatività delle minoranze.
Da noi, il virus del plebiscitarismo e della
reductio ad unum nella figura del leader ha tracimato anche a sinistra. Chi è alla guida di un partito pensa di essere un unto del signore, di avere mani libere nel fare e disfare. Di fronte a questa cultura politica, che appare sempre più tracotante, almeno la legge elettorale avrebbe dovuto porre qualche limite. E invece essa ha assecondato la tendenza, aggiungendo una ulteriore, drammatica, aggravante: la possibilità di pluri-candidature. Ogni candidato può presentarsi, oltre che nel maggioritario anche in altri cinque (!) collegi proporzionali. Meglio evitare rischi, evidentemente… Questo ampio paracadute, oltre a rafforzare il controllo della leadership sulle candidature, impedisce all’elettore di sapere chi sarà il proprio rappresentante perché l’eletto potrà optare per un altro collegio, privando così i cittadini della facoltà di conoscere il proprio parlamentare.
C’è una coazione a ripetere nei legislatori italiani: dare sfogo alla fantasia rifiutando di seguire sperimentati modelli stranieri. Ma una fantasia sfrenata, a volte, produce deliri.