Corriere 19.10.17
Il conflitto tra il premier e Boschi che sapeva già della mozione
Il presidente del Consiglio si è detto «esterrefatto» per il blitz
di Francesco Verderami
ROMA
Non è detto che la formula «tre per uno» sia sempre vantaggiosa.
L’affaire Bankitalia, per esempio, costringe Paolo Gentiloni a risolvere
contemporaneamente un grave problema istituzionale, un intricato nodo
politico e un delicato caso di rapporto fiduciario.
Se l’altro
ieri Renzi non lo avesse omaggiato della mozione a sorpresa che ha
scatenato il parapiglia dentro (e soprattutto fuori) il Parlamento, il
premier sarebbe forse riuscito con altri metodi a trovare una soluzione
che accontentasse il segretario del suo partito per la nomina del
governatore, superando le obiezioni del Quirinale e le perplessità
dell’Eurotower.
Raccontano che ci sta provando lo stesso, perché
non è comunque facile per un governo assumere una decisione che
contrasti con la linea del partito di maggioranza relativa ed il suo
potere di interdizione. Ed è vero che Gentiloni — nonostante lo sgradito
regalo — vuole evitare di mettersi contro Renzi. Ma non può mettersi
nemmeno contro Mattarella, che ieri — durante il pranzo al Quirinale —
gli ha ribadito tutta la propria indignazione per quanto era accaduto il
giorno prima alla Camera.
Il capo del governo non ha potuto che
convenire con il capo dello Stato, a cui spetta peraltro la nomina,
dicendosi «esterrefatto» per il metodo adottato dal Pd e giudicando
«inopinato» nel merito il contenuto della mozione: per un politico a
sangue gelido come Gentiloni, si tratta di due aggettivi dirompenti.
Il
colloquio è avvenuto al cospetto di alcuni ministri e — dettaglio non
irrilevante — anche della Boschi, schieratissima con l’iniziativa di
Renzi e al centro di un caso dentro il caso Bankitalia. Perché se è vero
che Gentiloni era ignaro del blitz organizzato dal segretario del Pd,
se è vero che ne è venuto a conoscenza «casualmente» — come ha spiegato a
Mattarella — è altrettanto vero che il sottosegretario alla presidenza
del Consiglio sapeva anzitempo del testo. C’è chi sostiene che avrebbe
addirittura avallato la prima versione della mozione, dove si chiedeva
esplicitamente un segno di «discontinuità» a Bankitalia, cioè la
giubilazione di Visco. Ma il punto non è questo. Il problema è che —
oltre ad esser stato scavalcato dalla ministra competente per i Rapporti
con il Parlamento, Finocchiaro — Gentiloni non è stato avvisato.
La
rottura del rapporto fiduciario con la sottosegretaria alla presidenza è
il terzo problema del premier. È un fatto che in altri tempi avrebbe
provocato clamorose e repentine decisioni. Né sarebbe stato senza
conseguenze la presa di posizione di rappresentanti del governo, come il
ministro per lo Sviluppo economico Calenda, che «per carità di patria»
non ha voluto commentare la vicenda. E nemmeno sarebbe stata derubricata
la spaccatura tra i capigruppo di Camera e Senato della forza di
maggioranza relativa.
Se Gentiloni — con un esercizio zen — ha
esortato tutti alla «moderazione», è perché deve trovare il modo di
uscire indenne dal pacchetto «tre per uno» che gli ha rifilato il
segretario del suo partito. Non è dato sapere se martedì, oltre alla
telefonata burrascosa con Renzi, abbia chiesto conto alla Boschi. È
certo che ieri il capo del governo non ha sentito il leader del Pd,
mentre è stato a pranzo da Mattarella con il sottosegretario.
Antropologicamente
agli antipodi rispetto al suo predecessore a Palazzo Chigi, non c’è
dubbio che la sua posizione — dopo una giornata burrascosa anche con il
Colle — si sia rinsaldata nei rapporti politici e istituzionali,
nazionali e internazionali. Ma deve sciogliere quei tre nodi e il più
intricato è la mediazione sul futuro governatore di Bankitalia. Da una
parte ci sono il Quirinale e l’Eurotower, dall’altra il segretario del
Pd.
E in mezzo c’è Visco, che ieri ha sentito Draghi prima di
recarsi dal presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche Casini
e dare la sua disponibilità all’audizione. In quella sede ribadirà —
documenti alla mano — che in ogni passaggio nell’attività di controllo
del sistema creditizio «ho tenuto informato il governo e all’occorrenza
anche le autorità giudiziarie». Niente male come anticipazione...
Gentiloni
avrebbe desiderato istruire la pratica in modo diverso, come
diversamente avrebbe voluto muoversi in altre occasioni. Ma poi c’è
sempre stato l’amico Renzi, che lo ha sempre trattato da premier di un
«governo amico». E lui se n’è fatta una ragione. Anche stavolta, dopo
«l’inopinato» blitz su Bankitalia che gli è stato tenuto nascosto.
«Non
è il tempo dell’irresponsabilità», aveva detto la settimana scorsa
all’assemblea dei sindaci: «Al di là di ogni comprensibile tensione
politica, dobbiamo mettere sempre l’Italia al primo posto». Parole
pronunciate davanti alle fasce tricolori ma rivolte ai franchi tiratori
che minacciavano di affossare la legge elettorale. Quel giorno Gentiloni
difendeva la riforma di Renzi dall’«agguato» a scrutinio segreto.
L’altro ieri si è dovuto difendere da una mozione voluta da Renzi a
scrutinio palese. Pure profetico...