Repubblica 19.10.17
Il caso Weinstein
A proposito di donne
Rebecca Solnit
Siamo tutte cortigiane perché ci educano a compiacere l’uomo
intervista di Anna Lombardi
Il
caso Weinstein ha riportato al centro dell’attenzione il tema della
violenza sulle donne, dei silenzi e della difficoltà di denuncia che
caratterizzano ancora la società in modo trasversale.
Due
scrittrici lontane per formazione e cultura - l’americana Rebecca Solnit
e la turca Elif Shafak - affrontano la questione femminile e dei
diritti, guardandola da diversi punti di vista
Rebecca Solnit “Siamo tutte cortigiane perché ci educano a compiacere l’uomo”
«No,
le molestie non sono solo questione di sesso. Il sesso è una delle
tante forme usate per sottomettere le donne». Rebecca Solnit, 56 anni,
con i suoi scritti ha esplorato gli aspetti più diversi della realtà:
dal modo in cui camminano i potenti in Storia del camminare fino a Un
paradiso all’inferno su come reagiamo ai disastri. Solnit, però, è anche
l’autrice femminista di saggi come Gli uomini mi spiegano le cose,
appena pubblicato in Italia: dove affronta il fenomeno del “
mansplaining”,
paternalistico modo di mettere a tacere le donne.
Prende spunto da un episodio reale: quando a un party qualcuno cercò di
spiegarle l’importanza di un libro da lei scritto, non credendo che
l’autrice potesse davvero essere la donna che aveva davanti. Riscoperto
in America dopo la vittoria di Donald Trump, da noi arriva nel pieno
dello scandalo legato al produttore Harvey Weinstein.
Il suo libro è sempre attuale: ogni volta, purtroppo, in modo nuovo.
«Quando
si parla di violenze sulle donne, se ne parla sempre come di fatti
isolati. Ma basta sfogliare i giornali per capire che non è così. Non ci
sono solo le attrici: ricercatrici denunciano i professori, infermiere i
medici, soldatesse i commilitoni. Le molestie sessuali mettono tutte
sullo stesso piano. Ognuna ha una sua storia: che è sempre la stessa
storia. Altro che casi unici: la violenza sulle donne è un’epidemia,
frutto di una cultura radicata. Per questo è fondamentale creare
anticorpi nella società».
Oggi tante denunciano. Dopo decenni di silenzio…
«La
cultura dominante considera la parola delle donne meno credibile di
quella degli uomini. Immaginano le cose, si dice. Sono vendicative. Per
questo tante hanno taciuto così a lungo. Ora le cose stanno cambiando.
Ad Hollywood, nella Silicon Valley, negli uffici, gli uomini si dicono:
non possiamo continuare così. Lo stesso le donne: non possiamo più
restare in silenzio».
Non trova che le donne hanno una parte di responsabilità nell’aver accettato un modello culturale sbagliato così a lungo?
«È
qualcosa su cui sto riflettendo, forse sarà il tema di un nuovo saggio.
Sì, siamo tutte cortigiane. E non perché ci piaccia ma perché ci hanno
inculcato che gli uomini vanno compiaciuti e rassicurati: sempre. Poche,
compresa me, sfuggono».
Si può cambiare?
«Certo. Quando
sono nata io, nel 1961, le donne erano prive di diritti basilari e in
tanti casi il matrimonio era una relazione serva- padrone, dove i mariti
controllavano soldi e figli, le violenze domestiche erano cose private.
Dobbiamo guardare al cambiamento, considerarlo nel lasso di tempo
giusto. Poi, il nostro è il migliore dei mondi possibile? No. È migliore
di quello che era? Sì».
È ottimista?
«No. Ma ho speranza.
Quella che mi spinge a scrivere per ricordare alla gente che agendo si
cambiano le cose. Tutte queste donne che alzano la testa, questa
solidarietà nuova: servirà a non tornare indietro. Perché sia chiaro:
gli Harvey Weinstein sapevano cosa facevano, forti della capacità di
colpire chi si ribellava. Tante hanno taciuto? Dal mio punto di vista
hanno semplicemente resistito in “ surviving mode”, modalità di
sopravvivenza. Per prevenire ciò che gli sarebbe costato troppo dolore:
il linciaggio di quel mondo, dei giornali, di Twitter. Ora qualcosa si è
rotto. E non ho dubbi: avrà conseguenze».
Cosa intende?
«Quel
che accade è parte di una rivoluzione femminista che sta mettendo in
crisi il principio millenario che quel che vogliono gli uomini conta più
di quel che vogliono le donne. Diciamocelo chiaro: sarebbe stato bello
che una volta introdotta l’idea radicale che le donne sono persone con
diritti inalienabili tutti avessero concordato e avremmo potuto
occuparci d’altro. Invece le donne hanno continuato a sprecare energie
nello sforzo di imporsi o di evitare ambiguità e molestie. E chissà
quante scoperte, romanzi, inchieste giornalistiche abbiamo perso per
questo motivo».
Parla di rivoluzione femminista: ma non la
colpisce che il maschilismo non ha colore politico? Weinstein, per
esempio, è un democratico.
«Gli uomini di sinistra dovrebbero
essere più femministi? Certo. E senz’altro molti si riconoscono in un
sistema di valori che rispetta le donne. Per altri i “privilegi
maschili” restano il valore più forte. È come il razzismo. Quanti, fra
coloro che si proclama antirazzisti, poi non vogliono mettere in
discussione i “privilegi dei bianchi”?».
Si dice che anche Hillary Clinton sapeva. E ha taciuto.
«In
America ormai è tutta colpa di Hillary Clinton. Chissà perché, si
affibbia sempre alle donne la responsabilità dei comportamenti sbagliati
degli uomini».
Prossimo passo?
«È quello che le donne stanno già facendo. Tutto questo parlare: è già agire».